Paola Agnello Modica (CGIL), Antonio Scalia (Movimento Studentesco) e Daniele Zito (Comitato dei Ricercatori Precari) spiegano come lattuale situazione politico e finanziaria influisce su universi diversi, ma vicini-Un corteo rosso di rabbia
Contro la crisi: voci dalla piazza
Oggi a Catania e in tutta Italia per lo sciopero generale indetto dalla Cgil, studenti e lavoratori sono scesi in piazza insieme, perché la crisi tocca tutti e in modi poi non così diversi. Sembra questo il filo conduttore della manifestazione di oggi, più volte sottolineato dagli esponenti dei vari gruppi presenti, tra cui la CGIL, il Movimento Studentesco Catanese e il Comitato dei Ricercatori Precari.
Per Antonio Scalia, uno dei ragazzi del Movimento, questa unione è soprattutto una responsabilità sociale.
Antonio, avete in più occasioni sottolineato che occorre lottare uniti. Perché?
Si annunciano tempi catastrofici per questo Paese. Si prevedono, secondo le stime dell’OCSE, ben due milioni in meno di posti di lavoro in due anni. Non è il capitalismo in crisi, ma il capitalismo è crisi, perché il precariato, la condizione di chi non arriva a fine mese sono connaturati in questo sistema. Dobbiamo tenere presenti due conseguenze: la lotta e la disperazione. Noi abbiamo il dovere di eliminare la disperazione e di ritornare alla coscienza che l’unità, tra i lavoratori e tra di essi e gli studenti, non è solo giusta, ma è una responsabilità. Perché questo momento non si trasformi in disperazione e si recuperino la dignità e la centralità del lavoro. È spiegato benissimo in un libro uscito da poco.
Di che si tratta?
Di un parallelo tra la fine di un operaio della Thyssen Krupp, Luigi Roca, e quello di una vecchia canzone. Il libro si chiama Autonomia operaia ed è stato scritto da Emilio Quadrelli. Roca non è morto durante l’incendio alla fabbrica, ma si è suicidato perché non gli è stato riconfermato il contratto di lavoro. Ha lasciato un biglietto alla moglie con scritto “Perdendo il lavoro, ho perso la dignità”. Il parallelo è con una canzone del Sessantotto, “O cara moglie”, che inizia: ‘Di’ a mio figlio che vada a dormire, perché le cose che ho da dire non sono cose che deve sentire’. E’ la storia di un operaio licenziato per aver scioperato, e che prova quasi vergogna. Ma alla fine della canzone viene rovesciato il motivo iniziale: “O cara moglie, io prima ho sbagliato, di’ a mio figlio che venga a sentire, perché ha da capire che cosa vuol dire lottare per la libertà”. Questo dà il senso di quanto sia importante, contro la disperazione, avere coscienza di classe: un licenziamento dev’essere un attacco contro un fronte unito. Siamo qui per far sì che la disperazione si trasformi in rabbia, e la disistima in orgoglio.
E anche il mondo dei lavoratori crede in questa unione. Ce lo conferma Paola Agnello Modica, della segreteria nazionale della CGIL, che chiarisce anche alcuni aspetti della manifestazione.
Cosa pensa del rapporto tra mondo del lavoro e studenti?
E’ molto bello e positivo, perché gli studenti sono i lavoratori di domani. E’ assolutamente importante che gli studenti e i lavoratori non si sentano delle entità a sé stanti, separate. Crediamo fermamente che mettere insieme i saperi, le conoscenze, i punti di vista, dia ricchezza e faccia crescere tutti. Si tocca con mano che l’Italia è fatta da tante belle persone.
Si è polemizzato sull’assenza delle altre sigle sindacali in piazza. Quali sono le ragioni politiche?
Noi abbiamo un’idea del rapporto con il governo, qualunque esso sia, in cui ci sia ascolto e tavoli di confronto. Un governo che attacca i diritti dei lavoratori e non vuole confrontarsi con la più grande organizzazione sindacale è una cosa non rispettosa neanche della storia democratica del nostro paese. Ci sono stati incontri riservati con alcune organizzazioni: l’obiettivo è chiaro, vogliono attaccare la rappresentanza sindacale. Intendono dire che il potere dei lavoratori è uguale a quello dei datori di lavoro, e quindi la contrattazione individuale è uguale a quella collettiva. Chiunque lavori sa che non è così. Che gli altri non ci siano è solo un peccato, per loro.
Come pensate di muovervi dopo questa manifestazione? Si riaprirà un confronto con gli altri sindacati?
Il dialogo non si è mai interrotto, ieri e stamattina ho sentito i miei colleghi di CISL e UIL. Noi come CGIL abbiamo una caratteristica, che è quella di guardare al merito: se una cosa vale la portiamo avanti, se la condividiamo la sottoscriviamo, ma se va contro gli interessi della gente, no.
Durante il comizio si è parlato dell’anomalia di Catania, tante potenzialità non sfruttate a pieno. Cosa ne pensa?
Catania ha una particolarità, qui c’è una delle migliori industrie del Paese, ma non c’è il sostegno del governo all’innovazione e alla ricerca. Ci sono i tagli alla ricerca, nelle università e negli istituti. Addirittura nell’articolo 29 del decreto anticrisi c’è un inghippo per cui sarà ancora più difficile per le imprese avere degli sgravi per gli investimenti in ricerca. È follia! Vuol dire voler far tornare il nostro Paese indietro, altro che competizione! In questo modo sarà la gente a soffrire, per questo noi continuiamo su questa strada.
E a proposito di tavoli di confronto, è proprio di questi giorni la notizia che il Rettore dell’Ateneo di Catania, Antonino Recca, ha deciso di incontrare i ricercatori precari, a seguito della pubblicazione di un loro documento (“Salviamo la ricerca”). Ce lo spiega Daniele Zito, giovane membro del Comitato dei Ricercatori Precari.
Cosa contiene questo documento e di cosa si discuterà durante il confronto con il Rettore?
Il documento consiste in una parte politica e una rivendicativa ed è stato presentato durante un’assemblea nella facoltà di Chimica, nella quale abbiamo anche detto che ci sarebbe piaciuto aprire un tavolo di confronto. Qualche giorno fa sul Bollettino d’Ateneo il Rettore ha dato la sua disponibilità per una discussione e ci ha contattati. Noi andremo e chiederemo una rappresentanza all’interno dei vari organi, perché dobbiamo far riconoscere la figura del ricercatore precario. E, ovviamente, parleremo dei punti del documento, come il drammatico problema dei contratti di docenza, quello dei dottorandi che, essendo studenti, non hanno i diritti dei lavoratori e il prossimo anno verranno anche ridotti.
Cosa vi aspettate da questo incontro?
Dal mio punto di vista credo che si possa iniziare un percorso perché vi siano dei rappresentanti dei ricercatori nei vari organi di governo. Credo e spero che riesca, e questo è solo il primo passo. Intanto stiamo provando a radicarci nelle varie facoltà, creando delle strutture, oltre al comitato unico, che sono già nate ad Ingegneria, Chimica, Biologia. Queste strutture, per esprimersi politicamente e non solo sulla piazza, devono però avere dei rappresentanti.
E come comitato invece?
Vorremmo che le tematiche esposte nel documento vengano almeno prese in considerazione. La situazione a Catania è ingestibile, non c’è una piramide che vede alla base i ricercatori, poi gli associati e, infine, gli ordinari, ma uno stesso numero di tutte le categorie, create negli ultimi dieci anni. Non capiamo perché, per l’assunzione di nuovo personale, dobbiamo lottare con gli altri atenei. Catania è quasi al di sotto della soglia del “tetto per gli stipendi”, all’86%, ma se l’anno prossima si arriverà, come è prevedibile, al 90%, finiranno le assunzioni, ossia i concorsi. Il fondo di finanziamento ordinario è per gli strutturati. Per i non strutturati, i soldi o arrivano dall’Europa o dal PRIN (il fondo cofinanziato da Miur e Atenei per i Progetti di Rilevante Interesse Nazionale, ndr). La percentuale per gli strutturati non può essere ridotta ulteriormente, perché vincolata dai contratti nazionali, quindi se bisogna ridurre pagheremo noi. Ed è solo l’inizio, perché nei prossimi anni questi tagli avranno una rilevanza ancora più drammatica, specie per persone che hanno costruito un progetto di vita sull’università. Aspettano da quindici, vent’anni e hanno una famiglia; non è detto che tutti abbiano un altro lavoro, come spesso si crede.
[foto di Giovanni Battaglia]