Il Partito democratico siciliano costretto a fare i conti con se stesso. «Ci saranno ripercussioni a livello nazionale»

Ma cosa sta succedendo nel Partito democratico siciliano? Tutto parte dalle tormentatissime votazioni interne di gennaio, quando la linea del segretario in carica Anthony Barbagallo ha avuto la meglio sull’area che grossomodo rappresenta la fronda dei deputati regionali, riconducibile in teoria a Stefano Bonaccini a livello nazionale, con la decisione che a votare al congresso per l’elezione del successore dello stesso Barbagallo potessero essere solo gli iscritti al partito. Da allora tanti movimenti sotto traccia e poca sostanza, fino all’esplosione dei dissapori degli ultimi giorni. Dissapori che si sono sublimati oggi, con la scadenza del termine per la presentazione delle candidature per la segreteria regionale. Una deadline che ha visto come risultato un non risultato: Anthony Barbagallo, ex deputato regionale, ora nazionale, è l’unico candidato in corsa. Una semplice e tranquilla rielezione, dunque? Neanche per idea.

La frangia opposta al segretario, sostenuto anzitutto da Elly Schlein, ha già pronto il ricorso e ha intenzione di dare battaglia a colpi di carte bollate. C’era anche stato un tentativo di mediazione, con il passo in avanti di Antonello Cracolici, decano dei Dem all’Assemblea regionale, che aveva proposto a Roma la sua candidatura, ponendosi come elemento pacificatore tra le varie aree. Una proposta peggio che bocciata, del tutto ignorata e lasciata cadere nel silenzio, quella del presidente della commissione regionale Antimafia, che da par suo non ha potuto fare altro che segnalare come «quello che sta succedendo in Sicilia non potrà non avere ripercussioni anche a livello nazionale». Insomma, il Pd che dovrà prima o poi pur fare i conti con se stesso.

Ma quali sono le ragioni dell’una e dell’altra area?

Barbagallo è espressione della linea dominante a livello nazionale del partito, da cui ha avuto investitura con una missione ben specifica: quella di rinnovare e rivitalizzare un partito siciliano che a quanto sembra a Roma suscita non pochi dubbi. Tra le cose contestate ai dem di palazzo dei Normanni c’è l’attività di opposizione, ritenuta troppo morbida nei confronti del governo presieduto da Renato Schifani. In particolare, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la collaborazione nell’approvazione dell’ultima legge di stabilità regionale, dove Roma auspicava invece una lotta senza quartiere all’indomani della polemica che aveva travolto la maggioranza per le cosiddette mancette confezionate ad hoc per amici e sostenitori, talvolta anche parenti, all’interno dei precedenti documenti di tipo finanziario. Il segretario uscente ha comunque cercato di gettare acqua sul fuoco, scegliendo come sua vice designata, in caso di rielezione, proprio una deputata regionale, la palermitana Valentina Chinnici, che da par suo ha rimarcato come «non c’è una divisione tra deputati all’Ars e partito».

E poi ci sono gli altri. In pratica quasi tutti i big locali, con il capogruppo all’Assemblea, Michele Catanzaro, che se prima era rimasto nelle retrovie, a differenza di colleghi più accesi, come Tiziano Spada e Giovanni Burtone, adesso non modera neanche più di tanto i toni, definendo il congresso ormai alle porte «una farsa a cui non possiamo pensare di partecipare. In questi mesi sono stato in silenzio ma la situazione è diventata insopportabile e la segreteria Schlein continua a essere sorda alla situazione che si è creata in Sicilia e al nostro grido d’allarme». Al fianco dei ribelli anche l’europarlamentare ed ex capogruppo all’Ars Giuseppe Lupo, così come Antonio Rubino, rappresentante dell’area orfiniana in Sicilia. Al fianco di Catanzaro, tra gli assenti annunciati al prossimo congresso, oltre ai già citati Burtone e Spada, ci sono anche Mario Giambona, Ersilia Severino e Calogero Leanza.

La corsa alle segreterie provinciali

La diaspora interna al partito rischia di proiettarsi anche sui congressi provinciali. Lì sì non ci sono dubbi sul regolamento, che prevede il voto dei soli iscritti. Su Palermo le posizioni sono pressoché rispettate: sul fronte Schlein è stata avanzata la candidatura di Mari Albanese, consigliera dell’ottava circoscrizione del capoluogo, che promette «un partito che non stia mai in silenzio». Dovrà vedersela con Teresa Piccione, ex deputata nazionale, ora consigliera comunale a Palermo, vicina a Lupo e ai riottosi dell’area Bonaccini. Anche su Catania è corsa a due per la successione a Maria Grazia Leone: da una parte Giuseppe Pappalardo, ingegnere e imprenditore di Biancavilla, volto noto della dirigenza provinciale, vicino a Barbagallo e all’area Schlein, dall’altra Francesco Siracusano, avvocato penalista, sostenuto dall’area etnea che fa capo a Burtone. Sulla candidatura a Trapani di Valeria Battaglia, vicesindaca di Partanna, c’è invece il lavoro del deputato regionale Dario Safina, che in questo caso prova a fare dialogare entrambe le anime del partito.


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