Da Roma arriva una proroga per l'approvazione di un piano di riequilibrio che mira a recuperare 1,7 miliardi di euro in 20 anni. Misura che doveva passare in Aula a ottobre e che rischiava di cadere nel nulla spianando la strada al default
Comune, trenta giorni in più per evitare il dissesto Tra scontri interni agli uffici e maggioranza da trovare
Un mese in più, tanto dovrebbe farsi bastare il consiglio comunale per evitare che Palermo sprofondi nel dissesto finanziario. La proroga della scadenza per l’approvazione del piano di riequilibrio del Comune, fissata per il 28 dicembre, al 31 gennaio 2022 da parte della commissione Bilancio di Roma, arriva come una boccata d’aria in uno dei momenti più difficili della burocrazia cittadina, giunto dopo l’approvazione dello stato di pre-dissesto e la presentazione di un piano definito da molti «lacrime e sangue», tanto da spaccare persino gli uffici, con la bocciatura da parte del ragioniere generale e la difesa di segretario e direttore generale dello stesso ente che, di fatto, hanno redatto il documento.
«È la conferma di quanto ho sostenuto in queste settimane e cioè che il governo e il Parlamento hanno prestato e prestano grande attenzione perché si eviti il dissesto», ha commentato il sindaco Leoluca Orlando. Un’attenzione che fa ben sperare perché il già fragile equilibrio dei conti palermitani ripone ogni speranza nei milioni promessi dal governo nazionale per accorrere in soccorso del Comune. Soldi senza i quali anche i grossi sacrifici richiesti dal piano di riequilibrio potrebbero risultare vani. Sacrifici come la vendita delle quote della Gesap, la partecipata più redditizia del Comune, che gestisce un aeroporto, quello di Punta Raisi, in continua crescita, nonostante la mazzata ricevuta dalle restrizioni per il Covid; il rinvio delle nuove assunzioni e dell’aumento delle ore per i dipendenti comunali e persino il dimezzamento delle circoscrizioni, che passerebbero così da otto a quattro.
Si tenta di risparmiare su tutto per raccattare 1,7 miliardi di euro in venti anni. Una spada di Damocle che penderà sulla testa non solo del sindaco che sarà eletto in primavera, ma anche dei suoi tre successori. Si cercherà anche di stringere sulla lotta all’evasione. È infatti ancora una volta la capacità di riscossione dei tributi, o meglio, l’incapacità di riscuoterli, uno dei problemi da risolvere con maggiore celerità. Nel piano si parla di un rientro del 75 per cento delle imposte da riscuotere entro il 2024. Impresa che appare oltremodo ardua se vista dall’esiguo 38 per cento fatto segnare dal Comune negli ultimi tempi. Una cifra che ha oltretutto infiammato gli animi negli uffici, inclusi quelli che il piano l’hanno redatto e che hanno rinnegato la paternità di quel 75 per cento, 15 punti percentuali oltre la media nazionale e traguardo quasi proibitivo per Palermo.
Sempre ammesso che il sindaco trovi i numeri per fare passare il piano, con una maggioranza che di certo non concede sconti ma che, in alcune sue parti, sembrerebbe essere disposta al dialogo. Il dissesto, d’altra parte, non piace a nessuno e anche i più irriducibili, con la Lega in testa, che ha già esternato in più occasioni la propria avversione alla proposta, potrebbero quanto meno pensarci su.