L’entusiasmo delle prime volte. Si potrebbe descrivere così l’approccio di Lanfranco Zappalà alla campagna elettorale per le elezioni comunali di Catania, nonostante i suoi trent’anni da consigliere comunale e le decine di appuntamenti elettorali trascorsi. Perché stavolta il passo è più lungo e punta alla poltrona di sindaco con una propria lista civica. Continuano con Zappalà – derogando all’ordine alfabetico per esigenze tecniche e con l’eccezione di Vincenzo Drago che non ha risposto al nostro invito – le interviste di MeridioNews ai possibili nuovi primi cittadini etnei.
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A ogni candidato abbiamo chiesto di darci appuntamento nel proprio posto preferito di Catania. Lei ha scelto San Giovanni Li Cuti, come mai?
«Perché da piccolo ci venivo spesso ed è un bel ricordo; ma soprattutto l’ho scelto per una delle ultime conversazioni che ho avuto qui con mio padre. Ero giovanissimo, avevo 22 anni e, seduti proprio in quella panchina, gli dissi che mi sarebbe piaciuto entrare in politica. Ero già consigliere di quartiere e avevo finito l’università, dov’ero stato rappresentante degli studenti, e ricordo che lui mi rispose: “Devi avere lo stomaco duro per poter ingerire tutto”. Oggi, a distanza di anni, devo dire che aveva ragione».
Lei è stato il primo ad annunciare la sua candidatura, quasi un anno fa, decisamente in anticipo…
«Sì, perché ho voluto scardinare questo sistema in cui la scelta del nome e il programma finiscono per arrivare la settimana prima delle elezioni; le coalizioni non si mettono d’accordo e la gente non conosce nemmeno il candidato sindaco. Io ho detto basta, dopo tanti anni che ho dato a questa città come consigliere comunale, non avendo mai fatto un giorno da assessore, mai avuto una responsabilità oggettiva, mi sono detto che sono pronto. E allora ho girato tutti i quartieri, ascoltato le esigenze della cittadinanza e dopo ho fatto il programma. L’ho fatto perché credo che le persone debbano conoscere sia il candidato che il programma, cosa che in altre città abbiamo visto che non è accaduto».
Ormai arrivano davvero a ridosso delle urne. Ma questa sua decisione non ha vacillato nemmeno davanti all’annuncio della candidatura, poi fermata da motivi giudiziari, di Enzo Bianco, suo storico riferimento politico. Del fronte progressista, neanche a parlarne. Come mai non ci ha ripensato?
«Io ho esternato il mio pensiero a Enzo, dicendogli che dopo trent’anni di consiglio comunale, sia per l’età che ho, 55 anni, che per l’esperienza che ho maturato, ritengo sia il momento giusto per un ricambio. Sentivo sempre parlare di cambiamento e rinnovamento ma non avveniva mai, e allora ho deciso di candidarmi: voglio parlare con i cittadini, testare il loro gradimento e soprattutto voglio spendermi perché questa città mi ha dato tanto e io voglio dare alla città».
Una città che però, a voler essere diplomatici, non è nel suo momento di maggiore splendore. Qual è, se dovesse sceglierne uno, il problema principale di Catania secondo lei?
«Quello che tutti osserviamo, cioè che la città è sporca. Una volta si diceva “Cosa faresti nei primi cento giorni da sindaco?”; io rispondo che non ne servono cento, chiamerei subito le tre ditte che effettuano il servizio di raccolta e dire “Questa città va pulita”. Dopo l’ordinaria pulizia, va rivisto il sistema, perché ormai sappiamo che con una sola discarica non ce la si fa e vedere la differenziata gettata sui marciapiedi credo sia non solo anti-igienico, ma visivamente molto brutto. Quindi cambierei metodo di raccolta come si fa in altre città italiane e cioè con i cassonetti con la tessera magnetica e valuterei anche quelli interrati. Ma soprattutto spingerei la Regione siciliana ad affrontare il problema dei termovalorizzatori».
Quindi lei è a favore del termovalorizzatore?
«Certamente, altrimenti avremo sempre una città sporca. In Italia ci sono 50 impianti, 46 funzionano, ma da Napoli in giù nemmeno uno. Quindi qualcosa è evidente che manchi… Così invece noi dobbiamo portare la spazzatura all’estero, i costi aumentano e il servizio è pessimo».
Io aggiungo altri due problemi: il primo è l’inciviltà diffusa.
«Questa città negli ultimi anni è stata nelle mani di nessuno. Tanti progetti, ma non si sono curati delle cose normali, della sicurezza con una movida che impazza, quartieri abbandonati, periferie al buio, oltre alle carenze di personale del corpo dei vigili urbani, ma io credo ci sia anche un problema culturale. Oggi le cose che i cittadini chiedono a chi si candida credo siano poche: sicurezza, viabilità, pulizia delle strade, cioè l’ordinaria amministrazione che purtroppo negli ultimi anni è mancata. E lo dico con amarezza perché l’amministrazione uscente, che oggi si ripresenta da vergine, ha lasciato una città completamente allo sbando».
Lei citava la movida, tanti anni fa punto di vanto di Catania insieme all’offerta culturale…
«Io mi ricordo che venivano anche da fuori, i palermitani ci invidiavano, oggi invece è al contrario».
Ecco, adesso mi sa che la partita con Palermo l’abbiamo persa. Che poi questo aspetto è legato anche al turismo, una delle principali leve economiche che abbiamo.
«Io dico sempre che, nella sfortuna, abbiamo almeno la fortuna di avere l’aeroporto, ma non la capacità di trattenere i turisti, è tutto mordi e fuggi. Io da consigliere comunale e presidente della commissione Regolamento ho presentato un progetto al Comune di Catania per reinvestire gli incassi della tassa di soggiorno, circa 700mila euro, nel turismo. Manca un percorso serio, i musei che abbiamo sono sempre chiusi, non ci sono punti di informazione che, creando anche lavoro, metterei nei punti nevralgici della città. Per non dire della Playa, che in inverno è lasciata in totale abbandono. Ecco, dobbiamo avere una mentalità diversa e chiederci che tipo di città vogliamo».
Non che la Playa d’estate migliori… Ma le chiedo: se dovesse riassumere il suo programma elettorale in tre punti, quali sarebbero?
«La prima cosa è il lavoro, perché vediamo troppi giovani che vanno via da questa città e non credono più alla politica, distante da loro. Quindi attenzione per le attività produttive, rilanciare la zona industriale, avere a che fare con i partner grandi per dire loro che qui è possibile investire. Occorre avere una mentalità imprenditoriale, che in questa città spesso è mancata perché in consiglio comunale si litigava tra destra e sinistra e, alla fine, chi paga è la città. Una città bellissima che va valorizzata e ripresa in mano, ma non stando dentro il palazzo. Quando dicono che sono il politico della porta accanto, io rispondo che sono quello che incontri per strada, che vive la città. Per questo mi sono candidato, perché conosco Catania e voglio dare il mio contributo».
Secondo lei questo tipo di approccio a chi parla? Si è fatto un’idea di chi sono i suoi elettori?
«Innanzitutto parlo ai giovani, che non hanno la speranza, ma parlo a tutti coloro che sono delusi, amareggiati; parlo agli anziani, categoria spesso dimenticata; alle categorie protette che vedono negati i loro diritti; parlo ai giovani delle scuole che si lamentano perché l’amministrazione non è attenta ai loro problemi. È un peccato vedere la sfiducia nei confronti della politica e sentire la gente, come ne ho incontrata spesso in questo periodo, dire “Io non vado a votare, tanto non cambia niente”».
A fare il paio con questa sfiducia e con l’astensionismo, ci sono le logiche che ormai regolano le competizioni elettorali, come il voto gestito dai Caf. In questa situazione, come pensa si possa riuscire a vincere?
«Occorre prima di tutto un controllo da parte della prefettura. Perché i Caf sono luoghi che dovrebbero offrire servizi, mentre una volta c’erano le segreterie politiche, dove si faceva palestra politica; oggi invece i Caf sono diventati comitati elettorali. Io ho voluto stare fuori da questo sistema e quando sento qualcuno dire “Mi hanno voluto candidare”, penso piuttosto che bisognerebbe sentirla la voglia di candidarsi in questa città e non farla dipendere dalla scelta di un partito, per questo ho iniziato un anno prima».
Spesso si tratta soprattutto di donne, utili ai fini dei numeri per le quote rosa.
«Su questo posso dire che dei primi sei assessori che ho designato, tre sono donne e tre uomini. Tra loro c’è anche Serafina Strano, la dottoressa violentata anni fa durante il turno in guardia medica, a cui ho affidato le Pari opportunità, e anche in lista ci sono tantissime donne. Vede, questa non è una cosa che capita spesso in politica: quando facciamo riunioni, le donne sono sempre assenti, perché la politica non la sentono; e invece sono portatrici di istanze nuove rispetto a quelle che sentiamo ogni giorno. Quindi dobbiamo rimboccarci le maniche e coinvolgere la cittadinanza perché mi ricordo che una volta, quando ad esempio si chiudeva una strada, in consiglio comunale la gente veniva, partecipava, si ribellava. Negli ultimi anni, invece, non viene nessuno; cosa è accaduto? Ecco, io voglio recuperare questo, voglio essere il sindaco della città, dei cittadini».
Visto che noi siamo convinti che per recuperare la fiducia dei cittadini serva anche la trasparenza, le chiedo: in che cifra stima il costo totale delle sua campagna elettorale e come la sta finanziando?
«Io ho una segreteria politica, per cui ho affittato una normale casa di pochi vani, e ho dei collaboratori eccezionali che collaborano gratuitamente. Ho stampato il minimo necessario, ho fatto solo quattro manifesti 6×3 e per il resto la campagna elettorale si fa tra la gente, parlando, quindi finanziamenti non ne ho avuti né intendo fare cene per avere sovvenzioni. Faccio campagna in mezzo alle persone, che credo sia la cosa più costosa, in termini di tempo e fatica, ma anche la più bella».
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