Intervista all'ex governatore, sulle polemiche legate alla relazione sull'attentato del 2016 all'auto blindata su cui viaggiava il presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci e sulla condanna dell'ex numero uno di Confindustria Sicilia
Commissione antimafia, tra Montante e Antoci Crocetta: «Relazione è esercizio mentale inutile»
«Vivo in due bellissime terre, stamattina ho fatto un bagno a Castel di Tusa. E poi ho, possiamo dire, una seconda casa che mi serve anche per cambiare ambiente, dove posso vivere una vita più rilassata rispetto a quella stressante che ho avuto in questi anni, in Tunisia». È un Rosario Crocetta rilassato, quello seduto a un tavolo di un bar nel salotto buono di Palermo. Rientrato in Sicilia per qualche giorno, non si nega alle domande sulla relazione della Commissione regionale antimafia sulla vicenda Antoci. E su ciò che ne è seguito.
In queste settimane hanno tenuto banco le polemiche legate alla relazione della commissione antimafia sulla vicenda Antoci. Che ne pensa?
«Sinceramente è una cosa che mi è molto dispiaciuta, perché ipotizzare che addirittura un commissario di polizia possa avere organizzato un attentato nei confronti di un suo tutelato e questo attentato si svolge con una sparatoria, con questi che scappano… io vorrei raccontare la dinamica di quell’attentato».
Cosa ricorda?
«Antoci sale a Cesarò con la macchina blindata, che era stata una grande battaglia fatta da me, dal commissario Manganaro, da Beppe Lumia, per far avere una tutela adeguata ad Antoci, perché sapevamo dopo quella famosa lettera col proiettile in cui si diceva che io e lui saremmo finiti scannati insieme, sapevo benissimo che il termine scannati era di matrice mafiosa. Antoci trova la strada sbarrata coi sassi, avevano anche delle bottiglie incendiarie, loro volevano buttare la benzina con le bottiglie molotov, una trappola mortale. A quel punto se loro fossero riusciti dopo che si dava fuoco, erano pronti a sparare ad Antoci e alla scorta».
E Manganaro?
«Io sono convinto che Manganaro fosse uno dei possibili destinatari dell’attentato, perché chi aveva organizzato l’attentato non poteva sapere che Manganaro non era partito con Antoci. Perché la macchina che era partita dal ristorante non era una macchina di servizio. Quindi in quel momento gli attentatori pensavano che anche Manganaro fosse lì. Sin dall’inizio di questa vicenda ci furono una serie di personaggi politici, giornalisti che cominciarono a dire che non era un attentato perché spararono in basso».
Per esempio le dichiarazioni dello stesso sindaco di Cesarò, che disse in un primo momento che probabilmente non si trattava di un attentato di mafia.
«No, il sindaco di Cesarò faceva il minimalista rispetto alla presenza della mafia nel suo Comune, non entrò nel merito dell’attentato».
Non è quello che dice la relazione.
«Io ci ho parlato il pomeriggio stesso. A volte nei piccoli paesi si fa fatica a individuare la mafia. Paese isolato, con pochi carabinieri, chi è che tutela questo sindaco? Però resta il fatto che si continuava a dire sin da subito che non poteva essere un attentato perché gli spari erano verso il basso. Sulle blindate si spara sempre verso il basso, perché la parte più debole non sono i vetri, che sono superblindati, impenetrabili. Dunque si tende a sparare verso e gomme, anche per impedire che si possano muovere. Questa commissione regionale antimafia ha fatto delle indagini, salvo sentire persone che la potevano pensare in modo diverso?»
In conferenza stampa il presidente dell’antimafia ha precisato che l’ipotesi meno plausibile era quella dell’attentato mafioso, ma anche che non è scritto da nessuna parte che l’ipotesi più plausibile fosse quella della messinscena. Ma la messinscena, secondo lei, a chi avrebbe giovato?
«Ecco, cui prodest? Me lo chiedo anch’io. Intanto Antoci era già sotto tutela, le cose che denunciava erano note e riguardavano proprio la mafia dei pascoli, che può essere considerata meno interessante dalla commissione antimafia rispetto alle dinamiche di città. Invece la mafia dei pascoli può essere molto aggressiva, dove gli interessi sui pascoli non sono solo quelli dei terreni che loro illecitamente si sono fatti aggiudicare, ma sono quelli sull’accesso ai fondi europei, i legami coi colletti bianchi, non dimentichiamo che i tortoriciani sono anche legati alla ‘ndrangheta calabrese. Addirittura ipotizzare il livello di quella mafia, senza sapere qual è l’azione che si è condotta, quali nomi si sono fatti alla magistratura e quali interventi si sono fatti anche con l’inchiesta che abbiamo avviato sulle macellazioni delle carni nei Nebrodi. Lì parliamo di una mafia tradizionale, legata al territorio, parliamo di una mafia che è molto crudele. Quindi come si fa a dire senza che si sia scoperto chi sono gli attentatori, che non è stata mafia? Chi lo dice? Può una commissione politica, che non ha i poteri della commissione nazionale antimafia, dire una cosa del genere? È un esercizio mentale completamente inutile, anche perché a chi doveva giovare fare un attentato fasullo, mi pare un mistero della fede».
A prescindere dal caso specifico, la vicenda Montante, così come in tutti i dubbi sollevati sul caso Antoci, crede abbiano indebolito il movimento antimafia in Sicilia?
«La politica dovrebbe svolgere un ruolo antimafia diverso da quello degli inquirenti, perché non ha gli elementi per entrare, se entra in quei meandri, entra in una melma laica dell’antimafia, e in questo caso dico laica con una forzatura di termine, ma intendo quella che non è dei magistrati o dei poliziotti ed è invece dei politici e della società civile. Chi sono io per dire che un attentato è vero o meno? Io do la solidarietà ad Antoci perché è vittima di un attentato nel mirino della mafia. La commissione antimafia ha deciso di giocare un ruolo diverso dal suo, che sicuramente non dovrebbe essere quello di fare ipotesi, di giudicare fatti. Ma quello di aiutare le forze dell’ordine con documenti. Uno si aspetta che la commissione antimafia si occupi di appalti, delle cose che vengono fatte dalla Regione. Invece di che si occupa? Di Montante, su cui c’è una sentenza della magistratura e a quello ci fermiamo. Il caso Antoci, invece, ci sono tutte le speculazioni fatte da altri»
Da chi?
«Da tanti, perché scattano meccanismi di gelosie, di speculazioni».
Chi sta speculando, secondo lei, sulla vicenda Antoci?
«Chi non ha voluto riconoscere, a mio avviso, il ruolo di quei poliziotti eroici, con una battaglia, persino di minoranza. Il problema è a mio avviso mettere in discussione la natura mafiosa dell’attentato ad Antoci. Io ritengo che su questa vicenda ci sia un tentativo di mascariamento, è la politica che gioca».
Su Montante però c’è una sentenza. Alla luce di quanto messo nero su bianco dai magistrati, potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa? Sulle nomine in giunta, sull’Irsap…
«Allora, la nomina della Vancheri è stata concordata con Confindustria in un normale rapporto politico. Sull’Ast le carte ci dicono che Montante volesse la Brandara, invece ho nominato Massimo Finocchiaro, semmai le prove dicono che non acconsentivo. La nomina di Cicero, sì, veniva sostenuta da Montante e da Confindustria, perché veniva considerato un paladino della legalità».