Cibali, tre torri da 12 piani nei terreni andati a fuoco Variante per 156mila metri cubi di case e parcheggi

Per trent’anni non se ne era più parlato. Ma all’inizio di questa settimana è tutto cambiato. Il Centro direzionale Cibali – 17,4 ettari di terreni tra via Sabato Martelli Castaldi, via Nazario Sauro, via dei Piccioni, via Adelia e via Cave Villarà – era rimasto un progetto solo su carta di Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro. Lì gli imprenditori – assieme a Mario Rendo, «i quattro cavalieri dell’Apocalisse mafiosa», secondo la definizione del giornalista Giuseppe Fava – ci vedevano bene una nuova grande colata di cemento e per questo avevano creato il Consorzio centro direzionale Cibali. Dopo, ovviamente, avere acquistato i terreni necessari, per i quali però il consiglio comunale non ha mai rilasciato l’autorizzazione a costruire. Almeno finora.

Adesso quel grandissimo spazio torna d’attualità per due motivi: il primo è che il 10 luglio la giunta guidata dal sindaco Enzo Bianco ha approvato la proposta di variante urbanistica per permettere l’edificazione di 165mila metri cubi di spazio (che però nel documento allegato sono 156mila, cioè diecimila metri cubi in meno). Parcheggi, strade e palazzi, tra i quali «tre torri» alte fino a 12 piani (in cui potere fare residenze, alberghi, centri congressi, zone commerciali) e diversi altri edifici da destinare al social housing. Cioè, ancora una volta: case per studenti, giovani coppie, famiglie e individui indigenti. Il secondo motivo di ritrovata notorietà è che a 48 ore dall’approvazione della delibera tutto quello spazio è andato in fumo: un incendio lo ha distrutto completamente, arrivando a lambire le case e i recinti dentro ai quali pascolavano i cavalli.

La storia del Centro direzionale Cibali è lunga è complessa: parte nel 1969, quando nel piano regolatore generale (lo stesso attualmente in vigore), lo spazio di quasi 18 ettari nel quartiere dello Stadio viene individuato per costruirci un asse attrezzato e un polo di uffici pubblici. A fiutare l’affare sono i più importanti costruttori del capoluogo etneo, che acquistano i terreni dai cittadini proprietari e compongono un Consorzio che abbia per unico scopo quello di condurre la trattativa con il Comune di Catania. L’idea è di usare l’85 per cento di quei terreni per farne strade, parcheggi, uffici e abitazioni. È il 1988 e i giornali dell’epoca parlano di un affare da mille miliardi di lire. Guardato con favore dall’allora presidente della Regione, il democristiano Rino Nicolosi. Graci, Costanzo e Finocchiaro, però, non riescono mai a portare a termine l’accordo: il Consiglio comunale dell’epoca blocca l’iter burocratico e di lì a poco si tengono le nuove elezioni. 

La situazione intanto precipita. I Cavalieri del Lavoro, caduti in disgrazia, devono cedere il Consorzio e le sue proprietà a Sicilcassa, banca che aveva erogato il mutuo per l’acquisto dei terreni. E che a sua volta, alla fine degli anni Novanta, viene acquisita da Bankitalia. Così, nel 2013, il presidente del collegio dei liquidatori Tito Musso (banchiere di lungo corso), comincia le procedure per vendere le proprietà etnee. Ma non arrivano offerte. Nel 2016, quindi, si decide di avviare una consultazione pubblica aperta a tutte le proposte di utilizzo dell’area. Ne arrivano sei: dall’università di Catania che propone una collaborazione con il dipartimento di Agraria; da un comitato spontaneo di scuole, parrocchie, consiglieri di municipalità e collegio dei Geometri di Catania; dalla Fabrica immobiliare Sgr, con sede a Roma, che propone uno studentato e alloggi popolari; da Legambiente che vuole farci percorsi ciclistici e pedonali; dalla Onlus Le cave di Rosso Malpelo che vuole l’istituzione di un parco minerario; e, infine, da due studi professionali – uno di Management e l’altro di Ingegneria – rappresentati da Aldo Palmeri e Dario Consoli.

Il Consorzio sceglie di inserire nel proprio progetto tutte le proposte. Anche perché le uniche che modificano la destinazione della zona sono quelle della società specializzata in social housing e quelle dei due professionisti. Che peraltro non sono nuovi a questo genere di iniziative: Palmeri è l’amministratore delle società Istica e Cecos, che insieme detengono oltre l’80 per cento dei terreni di corso Martiri delle Libertà sui quali si farà il progetto di risanamento di San Berillo. Adesso, per mettere in pratica il nuovo piano per Cibali, sono state identificate in totale tre aree edificabili per un totale di 52mila metri quadrati. Si prevedono edifici «fino ad un massimo di 12 elevazioni, con forma architettonica slanciata». Strutture che dovrebbero essere «a torre» per evitare «un effetto di schiacciamento per la nuova residenzialità» e «migliorare lo skyline urbano con architetture di qualità». 

Il tutto, spiega il Consorzio, riducendo della metà le aree edificabili concesse dal piano regolatore generale del 1969 e donando circa 74mila metri quadrati di spazio al Comune di Catania, oltre i 36mila che gli spetterebbero di diritto per via della nuova urbanizzazione. Cioè «quasi undici ettari di parco urbano», la cui realizzazione rimarrebbe però tutta in capo all’amministrazione per dare eventualmente vita agli altri progetti proposti da ateneo e associazioni per l’area. Del resto, dei quasi quattro milioni di euro previsti per gli oneri di urbanizzazione, una parte sarà usata direttamente dal Consorzio per consegnare alla città strade e marciapiedi, «ma la quota per le urbanizzazioni secondarie potrà essere reinvestita dal Comune per la realizzazione dei parchi naturalistico e agrario», viene chiarito nel documento progettuale.

«Chi amministra il Consorzio ha il solo evidente interesse di ottenere, il prima possibile, i titoli edilizi in modo da moltiplicare di mille volte il valore dei terreni», attacca Matteo Iannitti, leader di Catania bene comune. «È un’operazione di speculazione finanziaria in piena regola ai danni della collettività – continua il movimento politico – La cessione dei terreni al Comune è solo uno specchietto per le allodole volto a spacciare la cementificazione selvaggia di un’area incontaminata come creazione di un grande parco urbano». La richiesta di Iannitti è semplice: «Che venga immediatamente ritirata la delibera e si blocchi l’iter di approvazione della variante urbanistica – si legge nella nota – È intollerabile che nel 2017, dopo quasi 50 anni dall’approvazione del Piano regolatore generale, si proceda con l’approvazione di varianti che hanno l’unico fine di incentivare la speculazione edilizia e finanziaria e arricchire alcuni privati». Di più: «Facciamo appello all’autorità giudiziaria affinché si faccia luce sull’incendio che, inquietante coincidenza, ad appena 48 ore dall’approvazione in Giunta, ha desertificato le aree oggetto di variante».


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