Chiude Radio Delfino, il ricordo di un ex speaker «La musica di una città che tornava a respirare»

Radio Delfino ha chiuso. Dai 90.4 di modulazione di frequenza questa sera trasmetterà una nuova emittente, Radio Uzeda.

Seppur in anni lontani da quelli in cui Delfino fece la storia, ho avuto l’onore di trasmettere dalle sue frequenze. Accadde nella prima, pionieristica, esperienza di Pianeta Catania, nel 2003. Chi ha fatto radio sa che, per quanto straordinarie possano essere le esperienze che ti riserverà la vita, mai nessuna sarà equiparabile alla sensazione di trovarsi davanti ad un microfono, con la luce rossa della diretta accesa e il volume alzato. Così è stato anche per me.

Allo stesso modo, da ascoltatore, non potrò mai dimenticare i pomeriggi interi a studiare (più o meno) ascoltando Feelies, Charlatans, Dirty Looks, Violent Femmes, e le notti in macchina girando per una città che riprendeva a respirare dopo anni trascorsi sotto la cappa opprimente di un coprifuoco non dichiarato ma reale, in sottofondo la musica che Gianni De Luca e i deejay avevano scelta per caratterizzarla: il rock, ed il pop – raffinato ed etereo – degli anni Ottanta. Non a caso, rappresentato dai Denovo. Post beatlesiani, sulla scia di David Byrne e dei suoi Talkin Heads, di Andy Partridge e degli Xtc, partendo da un garage-sala prove sulla circonvallazione agli albori degli anni Ottanta. I Denovo di Persuasione, in particolare, pubblicato in quel 1987 dei miracoli per la quantità e la qualità della musica che girava nel l’etere. E chi se lo dimentica, anche anni dopo, il coro «E non pensarci più non c’è nessuno», che saliva come un’onda dalla pista del Banacher?

Perché Catania l’abbiamo vissuta così: una partita al Vegas, un frappé alla Nutella dallo zio Lino, un cornetto in via Napoli, un pomeriggio giovani al McIntosh, un Sunday Rock all’Empire e Radio Delfino sintonizzata nelle macchine. Nelle autoradio Pioneer, quelle che tiravamo fuori nascondendole nel vano portaoggetti, prima che arrivassero i frontalini estraibili. Radio Delfino era un modo di essere, la via più breve per essere sulla stessa lunghezza d’onda con la meglio gioventù catanese che si riappropriava della propria città, in tasca pochi soldi e una miriade di sogni da realizzare, quando ci si divideva tra quelli che tenevano per i Rem e quelli che stavano per gli U2, tra chi parteggiava per i Dire Straits e chi per i Gun’s Roses, ma la voce di Natalie Merchant ci metteva tutti d’accordo. Che se si ascoltava un ritornello che citava come fosse uno scioglilingua il numero di telefono di una puttana, 867-5309, si sapeva che si stava parlando di Tommy Tutone, e che i Go Flamingo erano un gruppo dark che non aveva niente da invidiare a certe cose scritte da Robertino Smith, ma venivano da Ferrara.

In fondo è vero che tutto passa, ma certe atmosfere rimangono per sempre. Come certi odori che si respirano nelle strade, come certe sensazioni che vagano libere nell’aria e che assocerai per sempre ai volti con i quali hai condiviso giornate da buttare e da ricordare, tenute insieme dal filo di una gioventù che ebbe nella voce rauca di Kurt Cobain, in quella allucinata di Tom Yorke e nel «I pray every single day for revolution» urlato da Linda Perry la propria colonna sonora.

Siamo stati la generazione cresciuta con Radio Delfino. La musica era una cosa seria, e anche se quei giorni ruggenti non torneranno più, è stato bello averli vissuti insieme a tutti quelli che ci sono stati. E scusatemi se, mentre scrivo queste parole, potete sentire il brivido che mi attraversa la schiena.


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