L’allarme arriva da Siracusa ed è destinato a far discutere il mondo della scuola e non solo. Secondo l’ingegnere informatico Cristian Randieri, siracusano di nascita e oggi tra i leader del gruppo globale di lavoro Scientific Research & Business del Forbes Technology Council, l’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale rischia di modificare in profondità non […]
Foto generata con AI
Da Siracusa al dibattito globale: il professore che studia l’effetto dell’IA sul pensiero
L’allarme arriva da Siracusa ed è destinato a far discutere il mondo della scuola e non solo. Secondo l’ingegnere informatico Cristian Randieri, siracusano di nascita e oggi tra i leader del gruppo globale di lavoro Scientific Research & Business del Forbes Technology Council, l’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale rischia di modificare in profondità non solo il modo in cui scriviamo, ma anche quello in cui pensiamo.
AI e contaminazione stilistica
«Quello di cui parliamo è un vero e proprio fenomeno di contaminazione stilistica, capace di rendere la scrittura umana sorprendentemente ed inconsciamente simile a quella generata da un modello linguistico artificiale. Questo tipo di problema si evidenzia solo quando entrano in gioco i software di rilevamento, poiché spesso il confine tra autore reale del manoscritto e macchina diventa sempre più sfumato» spiega l‘ingegnere informatico Randieri.
Secondo lo studioso siciliano, dunque, ciò potrebbe rappresentare un problema perché l’uso dell’AI modificherebbe alla base il nostro modo di scrivere, nonché quello di pensare. «Scrivere un tema o un testo in generale è un processo molto complesso e creativo, che coinvolge la memoria, le emozioni, i ricordi personali e per anche un po’ di fantasia – chiarisce -. Normalmente, quando uno studente scrive un tema, lascia emergere qualcosa di sé. Magari un errore grammaticale, una frase troppo lunga, un’espressione un po’ ingenua, ma autentica. Sono proprio questi piccoli dettagli che fanno capire che dietro il testo c’è una persona vera, con la sua voce e il suo stile. L’intelligenza artificiale, invece, ha un modo diverso di costruire le frasi, caratterizzato dall’essere ordinato, lineare e preciso».

Per impostazione mentale, dunque, usando spesso strumenti di IA, molti ragazzi finiscono inconsapevolmente per adottarne lo stile. Le frasi diventano più ordinate, i periodi più regolari, il lessico più pulito. «È come se ci fosse una contaminazione silenziosa. Avviene senza copiare nulla, perché gli studenti imparano a scrivere come la macchina stessa. Un po’ come se replicassero nel loro cervello il modello neurale che sta alla base dello strumento AI adoperato. Qui entra in gioco un ulteriore problema con i software che cercano di riconoscere se un testo è stato scritto da un’IA. Questi strumenti non sono infallibili, infatti, si basano su calcoli statistici più o meno complessi e sulla probabilità che un certo stile assomigli più a quello umano o a quello artificiale».
I software di riconoscimento per uso dell’AI
Per questo motivo, può capitare che lo studente sia accusato di plagio, anche se ha scritto un testo di proprio pugno. «La sfida educativa non dovrebbe essere soltanto quella di stanare chi copia, ma di insegnare ai ragazzi a mantenere sempre viva la propria voce personale. A non avere paura di scrivere in modo un po’ meno elegante, ma più vero. In fondo, le macchine sanno già scrivere in maniera impeccabile; agli esseri umani resta il compito più difficile, ma anche quello più prezioso: scrivere in modo unico, irripetibile, con tutte le contraddizioni e le fragilità che ci rendono diversi da qualsiasi algoritmo».
Per affrontare un fenomeno come questo – ci avverte ancora il professore Randieri-, non basta soltanto vietare o dare punizioni. Bisogna ripensare il modo in cui insegniamo e valutiamo la scrittura stessa. Un primo passo fondamentale è quello di aiutare i ragazzi a riscoprire l’importanza del proprio stile personale. «Troppo spesso i giovani pensano che un buon testo sia caratterizzato solo dal fatto di non presentare alcun errore, che sia ordinato e lineare – sottolinea ancora il professore siracusano -. Ma la letteratura ci insegna che i testi più vivi sono quelli che portano al loro interno delle emozioni, dei ricordi, delle esperienze».
Sviluppare la consapevolezza di sé nei giovani
Un rimedio concreto in cui poter intervenire in questo senso riguarda il momento stesso della scrittura. Secondo il professore Randieri, infatti, gli insegnanti potrebbero fare con gli studenti dei piccoli esercizi quotidiani di dieci minuti, utili ad identificare lo stile naturale e caratteristico di ognuno. In questo modo è possibile fotografare la loro voce scritta, da usare in seguito come termine di paragone per i testi prodotti a casa. In questo modo si eviterebbero i fraintendimenti, quando si utilizzano i software di controllo.
«Allo stesso tempo, invece di demonizzare l’intelligenza artificiale, sarebbe utile integrarla nei percorsi di apprendimento scolastici. Si potrebbe ad esempio chiedere a una classe di far scrivere a ChatGPT un testo su un argomento molto semplice, come la mia giornata tipo, per poi confrontarlo con i racconti analoghi prodotti dagli studenti – chiarisce ancora lo studioso siciliano-. Sarebbe subito chiaro che il testo dell’IA è ben ordinato e corretto, ma mancante dei dettagli personali e soggettivi. Nessuna battuta con un amico, nessuna descrizione della pizza riscaldata male a pranzo, nessuna lamentela riguardo l’autobus arrivato in ritardo». Questo confronto aiuterebbe i giovani a sviluppare una importante consapevolezza di sé e della creatività dell’essere umano.
«In fondo, la sfida non è tanto quella di impedire che i ragazzi scrivano come una macchina, ma quella di incoraggiarli a scrivere come se stessi. Pertanto, l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento utile, un po’ come la calcolatrice in matematica. All’inizio si temeva che avrebbe reso tutti incapaci di fare i conti, ma poi si è capito che, se accompagnata da solide basi, poteva essere un ausilio prezioso alla didattica – conclude infine l’ingegnere Randieri -. Lo stesso vale per la scrittura, perché la tecnologia può aiutare, ma non deve mai cancellare l’originalità dettata da ciò che è l’esperienza personale».