Chiusa la spiaggetta 'nera' di San Giovanni Li Cuti per mancato rinnovo dell'autorizzazione demaniale. Indagini avviate
Catania, la spiaggia fuorilegge
La spiaggia comunale di San Giovanni Li Cuti, rione marinaro del lungomare di Catania, è stata sequestrata dal Corpo forestale e dalla Capitaneria di porto su disposizione della Procura della Repubblica, perché i solarium e le attrezzature collegate, come docce e spogliatoi, sono stati realizzati senza la necessaria concessione demaniale.
Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Enzo Serpotta, la concessione era scaduta alla fine del 2006 e nel marzo scorso l’amministrazione aveva presentato domanda di rinnovo e, in attesa del rilascio, avrebbe costruito i solarium, attraverso la Multiservizi, senza però essere in possesso della licenza.
La spiaggia di San Giovanni li Cuti è frequentatissima dai catanesi, anche d’inverno, perché si trova nel centro della città e ha una caratteristica unica: è costituita da sabbia nera prodotta dalla cenere lavica dell’Etna.
A conclusione della prima parte delle indagini la Procura della Repubblica di Catania ha indagato per violazioni delle leggi ambientali tre persone: il dirigente del servizio Patrimonio e demanio del Comune di Catania, il legale rappresentante della Multiservizi, e il titolare dell’impresa che stava eseguendo i lavori.
Secondo l’accusa, il Comune stava non soltanto realizzando il solarium senza la concessione demaniale, ma anche “opere difformi da quelle autorizzate con la precedente concessione” e questo “malgrado l’amministrazione avesse garantito, al momento del rinnovo, che avrebbe realizzato le identiche strutture dell’anno precedente”.
Tra l’altro, sarebbe emerso da accertamenti del corpo forestale e della capitaneria di porto, si “stava realizzando abusivamente un’estesa piattaforma da utilizzarsi anche per scopi diversi dalla balneazione”.
Inoltre, è stato rilevato dagli investigatori, “tutta la superficie della spiaggia era stata abusivamente ricoperta da una spessa coltre di sabbia vulcanica, di cui non si conosceva la provenienza e, soprattutto, la composizione fisico-chimica, con – è stato sottolineato dalla Procura della Repubblica – conseguente pericolo per l’igiene pubblica”.
(fonte: www.lasicilia.it)