Netith, il progetto imprenditoriale nato dalle ceneri del vecchio call center, occupa adesso circa 400 persone. Dei lavoratori che hanno vissuto la vertenza, però, sette sono rimasti fuori dalle nuove assunzioni. E adesso chiedono chiarezza
Caso Qè, la lettera degli ex operatori non riassorbiti «Abbiamo gli stessi diritti degli altri, sia fatta luce»
La nascita e la costante crescita di Netith, un progetto imprenditoriale elaborato e portato alla luce dai fratelli Franz e Salvo Di Bella, in grado di riassorbire, per il momento, buona parte della forza lavoro del fallito call-center Qè, ha lasciato l’amaro in bocca ad alcuni ex dipendenti della defunta azienda. I quali, nei mesi scorsi, sono stati chiamati dai responsabili risorse umane di Netith per un colloquio di lavoro per una eventuale assunzione. A essere sentiti dalle risorse umane sono stati tutti quelli che erano assunti alla Qè a tempo indeterminato. Alcuni hanno rinunciato alla convocazione perché già impegnati in altre attività lavorative. Altri ancora, invece, non sono mai stati chiamati per il periodo di formazione a cui sarebbe seguita l’assunzione. Sette di loro, in particolare, si dicono «amareggiati» e hanno preparato e divulgato una lettera aperta per esprimere il proprio disappunto: «A scrivere la presente sono alcuni degli ex dipendenti Qè che hanno gli stessi diritti e requisiti dei 75 ex colleghi rientrati e reintagrati in Netith da giugno scorso – si legge nella missiva – Dopo essere stati convocati a colloquio abbiamo invano atteso: non giungeva nessuna notizia, nessuna chiamata e dal momento in cui abbiamo appreso che non ci sarebbe stato posto per noi dentro all’azienda abbiamo visto vanificarsi tutti i nostri sforzi ed i nostri sacrifici».
Uno sfogo amaro quello dei sette ex lavoratori non rientrati nel progetto industriale: «Ci hanno giudicati non idonei? Qualcuno della vecchia amministrazione Qè avrà dato cattive indicazioni alla nuova azienda sul nostro profilo professionale e umano ai nuovi dirigenti Netith, tanto che poi siamo stati scartati? Per quale motivo su di noi è calata una cortina di silenzio? Eppure la vertenza, voluta e condotta da tutte le parti in causa, l’abbiamo condivisa, sofferta e portata avanti anche noi. Pensavamo, credevamo o, sarebbe meglio dire, ci auspicavamo che una soluzione adeguata e dignitosa fosse trovata per tutti. Invece no». Preoccupati per il loro futuro i sette firmatari chiedono risposte ai sindacati («Su come e perché una parte dei lavoratori, con famiglie e problemi economici derivanti dal mantenimento di queste, sia rimasta nell’ombra»), al sindaco di Paternò Nino Naso («Attento e sensibile alla vicenda»), ai media («di conferire il giusto peso anche alla nostra vicenda») e alla stessa impresa dei fratelli Di Bella.
«Chiediamo all’ azienda Netith di rivedere le nostre posizioni e di fare chiarezza su di una vicenda che certamente merita luce, precisando che una vittoria è tale solo quando a tutti viene ridata dignità lavorativa e la possibilità di mantenere se stessi e la propria famiglia». Per il momento il gruppo aziendale non ha voluto replicare a quanto esposto nella missiva da parte dei sette ex dipendenti. Netith non è solo legata alle attività di call-center, ma anche di incubazione di impresa e digitalizzazione di documenti. Sono sette le commesse di cui l’azienda paternese, allo stato attuale, sta curando i servizi. Un progetto imprenditoriale in grado di occupare fino ad adesso circa 400 unità: 150 lavoratori assunti a tempo indeterminato e 250 a progetto. L’impresa segue clienti come Inps-Inail, Enel, Vodafone, Sky, Eni Gas e Luce, Fastweb e Tim. Di questi, vengono dal fallito Qè sia i servizi Inps-Inail (143 dipendenti full time) sia quelli Enel (90 lavoratori a tempo indeterminato). Molte di queste professionalità sono state riassorbite.