La 50enne russa ha un regolare contratto e una casa di proprietà. Dopo anni, ad aprile poteva accedere al documento con scadenza illimitata che le avrebbe garantito maggiori diritti. Ma, tra burocrazia e guasti, la risposta è arrivata dopo tre mesi, troppo tardi
Carta di soggiorno definitiva persa per ritardi in Comune Irina: «Rispetto il Paese che mi ospita, chiedo lo stesso»
Irina D. è una cittadina russa in Italia da quasi dieci anni. Lavora come badante con un regolare contratto e qualche anno fa ha comprato, insieme al fidanzato, una piccola casa in centro, a Catania. Tre vani per un totale di 55 metri quadrati, ma in un’invidiabile posizione di attico. Traguardi che facevano stare del tutto serena Irina anche riguardo a un altro importante obiettivo da raggiungere: il permesso di soggiorno per lungo periodo – cioè per sempre, a meno di non perdere i requisiti -, che sarebbe dovuto arrivare dopo vari documenti con scadenza annuale o biennale. Un evento non da poco nella vita di un cittadino straniero, a cui la cinquantenne si è preparata con largo anticipo, come sempre. «In Russia siamo abituati a essere precisi e rispettosi delle regole», spiega. Irina, considerate le premesse, mai si sarebbe aspettata di vedere sfumare la sua occasione per un ritardo di tre mesi nella consegna di un documento da parte del Comune di Catania. Nello specifico, il certificato di idoneità abitativa di casa sua. Prima a causa di cinquanta centimetri di altezza mancanti, poi per un guasto al server comunale e infine per motivi non meglio precisati dall’ufficio in questione, sotto la guida di Maria Carmela Bruno, del corpo di polizia municipale, che preferisce non rilasciare dichiarazioni ufficiali. L’indomani della richiesta di informazioni da parte di MeridioNews, però, fanno sapere dall’ufficio stampa dell’ente che la pratica è pronta.
Tutto comincia ad aprile. Irina sa che a fine mese scadrà il suo ultimo permesso provvisorio e che entro quella data deve iniziare a presentare le pratiche per il rinnovo, in questo caso ottenendo l’autorizzazione definitiva. Da quel momento le verrà consegnato un documento provvisorio di un mese, un tempo di solito più che sufficiente a finalizzare la pratica. Così venerdì 6 aprile paga il bollettino con gli importi richiesti e dalla questura le dicono di rivolgersi al Comune per ottenere il certificato di idoneità abitativa dell’alloggio. Il documento, in sostanza, che dovrebbe garantire condizioni di vita dignitose per i cittadini extracomunitari e che fissa questi criteri in almeno 17 metri quadrati a persona e 2,70 metri di altezza delle case. Solo che il tetto della casa di Irina è a soli 2,20 metri di distanza dal pavimento e per questo la sua prima richiesta viene rifiutata. Un particolare, quello dell’altezza, in realtà già superato da una sanatoria ottenuta per l’immobile nel 2003, anni prima che la donna comprasse la casa, regolarmente accatastata come abitazione e in possesso dell’agibilità. «Ho cercato di spiegarlo andando all’ufficio comunale ogni settimana, per tre settimane, prendendo dei permessi al lavoro», racconta. Ma intanto passa un mese e Irina, il 9 maggio, prova a rinviare una lettera formale in cui riassume la questione e i documenti a supporto.
«Dopo diversi giorni di silenzio, mi chiedono di ricompilare il modulo di richiesta e mi dicono che sarebbe venuto un vigile urbano a casa a controllare». Il poliziotto municipale si presenta a casa sua i primi di giugno. Il sopralluogo fila liscio «e mi danno appuntamento per la settimana dopo, il 7 giugno, per ritirare finalmente il documento». Fortuna però che Irina non festeggia ancora. Perché il giorno dell’appuntamento il certificato non è pronto e si rimanda al giovedì successivo. Poco male, se non fosse che ci si mette anche il destino: giusto in quei giorni e per circa un’altra settimana, uno sbalzo di tensione brucia uno dei server del Comune di Catania, impedendo il lavoro digitale di alcuni uffici. Tra cui quello che dovrebbe evadere la pratica di Irina. Alla quale viene fatta la gentilezza di evitare altri viaggi a vuoto e permessi lavorativi da prendere, fornendole un numero a cui chiamare per informarsi sull’esito della sua pratica. «Quando però ho chiamato a fine giugno mi ha risposto un uomo che, alzando la voce, mi diceva “Chi le ha dato questo numero? Con chi ha parlato? Come posso essere certo che lei sia chi dice di essere? Non posso darle queste informazioni al telefono”. Mi sembrava di avere a che fare con i servizi segreti russi», scherza Irina.
A quel punto, la donna decide di desistere. Fa un tentativo lunedì 2 luglio, giusto per scrupolo. Risposta: «Il documento è alla firma». In sostanza, non è pronto. Così si rivolge alla nostra testata che, l’indomani, chiede informazioni all’ufficio comunale, non ricevendo risposte ufficiali. Risposte che arrivano il giorno dopo ancora dall’ufficio stampa comunale: il documento è stato firmato e protocollato. Non si sa con che esito, ma ormai non serve più, considerato che è scaduto il periodo per chiedere il permesso per lungo periodo e Irina ha già regolarizzato la sua posizione chiedendo un nuovo certificato valido per due anni. Spendendo 300 euro che, trascorso il biennio, dovrà sborsare nuovamente. «Per me essere precisa significa avere rispetto del Paese che mi ospita – conclude Irina – e non capisco perché io non debba ricevere lo stesso rispetto».