Francesco Sabatini ha presentato l'ultima edizione del suo libro, Conosco la mia lingua, all'istituto comprensivo Buonarroti. Per il professore abruzzese, i diminutivi trasformano il referente e, quindi, il genere grammaticale. «L'importante, però, non è come si pronuncia ma che sia buona»
«Cari palermitani, arrendetevi: si dice arancino» Parola del presidente dell’Accademia della Crusca
Amanti palermitani dell’arancina, rassegnatevi. Si dice Arancino. Con la O. La fonte è di quelle che lasciano pochi margini di discussione, il presidente onorario dell’Accademia nazionale della Crusca Francesco Sabatini, intervenuto all’istituto comprensivo Buonarroti per presentare l’ultima edizione del suo libro, Conosco la mia lingua.
Per lui, abruzzese di nascita, trasferitosi a Roma per frequentare l’università, gli accenti del centro sud non devono essere una novità. Ma quando si parla del siciliano di fronte a una personalità così autorevole non ci si può limitare all’analisi delle inflessioni. E allora è quasi fisiologico ritornare su un tema che le cronache recenti hanno riportato al centro dell’attualità, quello delle origini dell’idioma nazionale.
Presidente Sabatini, il ritrovamento di alcune poesie di Giacomo da Lentini e di alcuni scritti di Federico II rimetterebbero in discussione la paternità della lingua italiana, fino ad adesso universalmente riconosciuta al fiorentino. Ci dica come stanno le cose.
«C’è stato questo precedente importante, nel 1200, con la nascita di una lingua letteraria, il siciliano, favorita da Federico II. Questi testi, successivamente, sono stati trascritti in toscano e hanno fornito un esempio di poesia lirica, quindi hanno spinto il dialetto fiorentino a diventare lingua»
Parliamo della diffusione della lingua italiana nella Penisola: veniamo al suo libro.
«Si tratta di una ricerca di carattere scientifico-didattico durata trent’anni. Il mio contributo mira a portare l’insegnamento sul binario di una maggiore scientificità e, di conseguenza, renderlo più semplice, perché quando le scienze spiegano bene una cosa ne rendono più agevole la comprensione».
Quale modello di insegnamento propone?
«Per quel che riguarda l’italiano, inteso come lingua prima, lingua che si apprende nell’ambiente in cui si vive, il modello punta a rendere efficiente l’uso di ciò che si conosce già e farlo passare dall’orecchio all’occhio. Questo è il compito affidato alla scuola: far comprendere attraverso la lettura e la scrittura ciò che già si esprime con la parola»
Professore, tornando ai temi di attualità, non ci si può esimere dal porle una domanda…
«Non parliamo più di petaloso, per piacere. Si è trattato solo dello scherzo di un bambino. Tutti, fino a circa sette, otto o nove anni, inventano parole per varie ragioni: perché sono creativi, perché amano scherzare o semplicemente perché si allenano a usare la lingua. Si è trattato soltanto della diffusione di una notizia che ha permesso di riflettere su questi processi di creazione individuale»
No, professore, c’è stato un equivoco. Stavo parlando di un’altra cosa: l’annosa questione che in Sicilia, tra isolani d’Oriente e d’Occidente, è motivo di accese disquisizioni, più del tifo calcistico: si dice arancino o arancina?
(Ride)
«Propendo per la prima forma, di solito i diminutivi vanno al maschile. L’arancia è femminile, ma la trasformazione in un’altra cosa dovrebbe far cambiare il genere grammaticale. So che a Palermo preferite chiamarla al femminile e allora va bene anche così. L’importante non è come si pronuncia ma chi lo fa meglio».