Cara Mineo, tra gli indagati direttore e i vertici di Sisifo «Ogni giorno 35 euro per ospiti che non c’erano più»

«Risultavano presenti anche per un mese migranti che non erano più all’interno della struttura». A spiegare il punto di partenza delle indagini a carico del Cara di Mineo è il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera. Questa mattina sono scattati perquisizioni e sequestri in diverse società – sparse in tutta Italia, da Palermo a Roma – coinvolte in una serie di presunti illeciti perpetrati dagli enti gestori del centro per richiedenti asilo. Sul fascicolo aperto da Verzera i reati contestati sono falso ideologico in atti pubblici e truffa aggravata ai danni dello Stato. Indagate a vario titolo sei persone che si sono viste recapitare altrettanti avvisi di garanzia, tra questi «figura anche l’attuale direttore Sebastiano Maccarrone». Avviso di garanzia anche per il presidente della cooperativa Sisifo Salvo Calì e il consigliere delegato Roberto Roccuzzo, l’amministratore delegato di Casa della solidarietà Cosimo Zurlo, il direttore generale del consorzio calatino Terre d’accoglienza Giovanni Ferrera – indagato anche dalla procura di Catania per la gara d’appalto del Cara -, e una componente del vertice amministrativo del Cara Andromaca Vassano. Il numero uno del Cara si definisce «sereno e sorpreso». «Non mi sono mai accorto di nessun tipo di irregolarità. Confido nella giustizia. Quella di oggi – sottolinea – è una giornata lavorativa come tutte le altre, senza particolarità», dice. Sebbene ormai da alcune ore la struttura sia sorvolata da un elicottero della polizia di Stato

Sono gli agenti del commissariato di Caltagirone insieme ai colleghi della squadra mobile di Catania a occuparsi dell’operazione. Della quale spiega qualche dettaglio il procuratore Verzera. Entrando nel merito, ad esempio, delle modalità messe in atto per fare in modo che risultassero presenti più ospiti di quanti effettivamente ce ne fossero. Al netto di un dato oggettivo, ovvero quello che il Centro ha una capienza contrattuale di circa tremila posti. «La truffa gira attorno al badge consegnato al migrante al momento dell’arrivo: dopo tre giorni di mancato utilizzo della scheda in questione, l’ospite deve essere dimesso invece – continua Verzera – le persone continuavano a risultare presenti e le relative diarie erogate». Il giro di affari stimato dalla procura calatina si aggirerebbe intorno al milione di euro di fondi sottratti indebitamente allo Stato e all’Unione europea. Un totale al quale si arriva «moltiplicando i circa 35 euro erogati per ciascun migrante assente per tutti questi anni», sottolinea Verzera.

A essere coinvolte nell’operazione «sono tutte le A.T.I. che hanno gestito i servizi del centro dal 2012 al 2015. Sono diverse e ci stiamo lavorando», conclude il procuratore. La gestione del Cara, voluto nel 2011 dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni nel 2011, ha vissuto, tra il dicembre 2012 e il 2014, un lungo periodo di gestione in proroga affidato a un’Ati guidata dal consorzio Sisifo, di cui lo stesso Maccarrone è espressione. Nell’aprile del 2014 la commissione aggiudicatrice ha assegnato per i successivi tre anni la gestione del centro alla società Casa della solidarietà. Un’A.T.I. formata dalle stesse cooperative e società che aveva composto il precedente gruppo gestore, cioè Sol.Calatino, Consorzio Sisifo, La Cascina Global service, Pizzarotti e il comitato provinciale Croce Rossa

I provvedimenti di questa mattina nascono a seguito dell’indagine romana nota come Mafia Capitale, in cui un capitolo importante era dedicato proprio al business dell’accoglienza dei migranti. La questione dei badge, però, non è una novità. A denunciare la gestione delle tessere inutilizzate – anche in relazione al cosiddetto pocket money, cioè la cifra che spetta a ciascun migrante nel corso della sua permanenza al Cara – era stata già ad agosto dello scorso anno una delegazione della Rete antirazzista catanese. Che, dopo la visita autorizzata di una sua delegazione a Mineo, aveva raccontato che il badge senza foto, che attesta la presenza all’interno della struttura, risulta «facilmente cedibile». Con tutto quello sembra ne sia conseguito in termini erogazione del contributo pubblico.


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