«Mi hanno chiamato e io ho risposto “Obbedisco”». Da qualche giorno Pino Liberti è a capo del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Gravina di Caltagirone. Da quando, cioè, i contagi di coronavirus tra il personale sanitario hanno reso necessario che da altri nosocomi arrivassero braccia nuove. Così dal Cannizzaro l’infettivologo Liberti (già consulente dell’assessore Ruggero Razza) si è spostato al Calatino, dove gestisce il polo Covid-19 voluto dalla Regione Siciliana per la provincia catanese. «Abbiamo circa 27 ricoverati nel reparto di Malattie infettive, stiamo aspettando l’esito dei test del tampone per altre persone – dice il medico, intervistato da MeridioNews – Possiamo arrivare fino a 50». E tra i 27 c’è ogni fascia di età: da un ragazzo di 25 anni a una donna di 92. Entrambi, per fortuna, in buone condizioni di salute.
L’ospedale Gravina, suo malgrado, è stato al centro dell’interesse delle cronache di queste settimane. Lì, tra medici e infermieri di reparto, sono state contagiate sette persone. «All’inizio dell’epidemia, come in tantissimi altri posti d’Italia, sono arrivati numerosi asintomatici senza evidenti collegamenti epidemiologici. E se all’inizio si pensava che gli asintomatici non diffondessero il virus, questa idea è stata smentita dai fatti. Può capitare che qualcuno con una sintomatologia non Covid contagi altre persone, o perfino medici. Ma la percentuale nazionale parla dell’8-9 per cento di contagi tra chi lavora in ospedale, noi siamo abbondantemente al di sotto».
«Il Gravina – secondo l’infettivologo – si è organizzato bene, è stato in prima linea sin da subito». Tre piani del presidio sanitario sono interamente destinati alla gestione dei pazienti Covid-positivi e i reparti partecipano all’emergenza. Non solo con le strutture, ma anche con il personale: dagli oculisti agli otorini, tutti sono stati spostati ad affrontare il coronavirus nel Calatino. «Un medico è sempre un medico – spiega Liberti – I pazienti Covid hanno bisogno essenzialmente di due cose: ossigeno e protocollo. Il protocollo di cura è molto semplice». Ed è lo stesso di cui aveva parlato a questa testata il primario di Malattie infettive del Garibaldi di Nesima, il professore Bruno Cacopardo. «È un cocktail di tre farmaci: il Plaquenil, l’azitromicina e un antiretrovirale usato per la terapia anti Aids», racconta Liberti.
Per cinque, sette giorni – a seconda della sintomatologia – i pazienti vengono curati con il cocktail e i risultati, per il momento, sono incoraggianti. A Caltagirone è arrivato domenica il primo tampone negativo su una paziente. Oggi si farà il secondo test e, se anche questo sarà negativo, la donna sarà dimessa ed entrerà nel novero dei guariti dal coronavirus. «In questo momento, di persone clinicamente guarite in reparto ne ho quattro, cinque. Ma bisogna aspettare la conferma del tampone». Finché non ci saranno i due test negativi consecutivi, queste persone rimarranno in un letto di Malattie infettive.
In media, affinché un paziente positivo si negativizzi ci vogliono tra i 20 e i 35 giorni. Stesso tempo necessario ai più gravi per uscire dalla Terapia intensiva. «Ieri sono stati estubati due pazienti all’ospedale di Acireale: mangiano, parlano. È una bella notizia». Certo, non è ancora sufficiente a essere ottimisti. «Dobbiamo sperare che il famoso picco dei contagi arrivi in maniera graduale: trenta, quaranta ricoveri Covid al giorno il sistema sanitario regionale li può reggere. Possiamo accettare fino a 900 ricoveri, in totale. Di più no. Se riusciamo a mantenerci su questi numeri, raggiunti a poco a poco, ce la facciamo. Dopo il picco non c’è un altro picco, c’è la discesa».
Stando ai dati aggiornati a ieri dalla Regione Siciliana, in tutta l’Isola ci sono 522 pazienti positivi in ospedale. Già più della metà di quelli che gli ospedali nostrani possono sopportare. «Per questo auspico che gli alberghi sanitari entrino in funzione presto – prosegue Liberti – Possiamo mandare lì chi è clinicamente guarito, nell’attesa dell’esito dei due test del tampone, e liberare posti. Ai pazienti con patologie croniche, non Covid, penseranno invece le cliniche private che collaborano con la Regione. Così svuotiamo gli ospedali». E, se si collabora, c’è pure sufficiente personale.
«Nella mia équipe ci sono oculisti e otorini, per fare un esempio, e a loro va il mio ringraziamento. Perché chi non è abituato a gestire pazienti diffusivi ha bisogno di coraggio per andare in Malattie infettive e loro l’hanno avuto. Coraggio, competenza e dedizione – sottolinea Liberti – E in questo momento difficile ci vuole tutto, tutto insieme».
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