Caltagirone, il mastro ceramista viene dall’Albania In un libro la storia vera dell’artista Besnik Harizaj

Mani nude sono le mani di chi ha lavorato prima la terra e poi l’argilla, sotto il sole di una piccola campagna albanese. Sono le mani di Besnik Harizaj, il protagonista di A mani nude, il romanzo della docente catanese Lucia Andreano, già presentato al Consolato generale d’Italia di New York e in uscita nel nostro Paese il prossimo 27 maggio. Quello di Besnik è un percorso che ha come sfondo le campagne del sud dell’Albania, le scuole di periferia e gli istituti artistici del suo Paese, per arrivare agli anni della rivolta politica a Tirana, delle statue dei dittatori abbattute nelle piazze e della fuga di massa dei più giovani. Nella terra d’origine il ragazzo sarebbe stato destinato a fare il contadino, come voleva per lui il padre tradizionalista e severo. Ma le sue mani erano fatte per modellare la ceramica ed è questo a dargli la forza per sfidare la famiglia, la povertà e la logica di un Paese dominato dalla dittatura. 

Besnik arriva sulle coste italiane nel 96, per iniziare una vita da immigrato «senza identità», sottolinea l’autrice. Il giovane è prima studente, poi soldato e immigrato clandestino, fuggito a Creta e infine approdato in Sicilia. Qui colleziona nomi finti e lavora in nero nelle campagne, ma incontra anche artigiani onesti e apre la sua bottega di ceramiche a Caltagirone. «È un libro nato per caso – racconta Andreano -, passeggiando per le vie di Caltagirone, in un giorno di pioggia di dicembre. Sono entrata nella bottega di un artigiano che creava teste di Moro diverse dalle altre ed è stata una locandina con un nome albanese a incuriosirmi. L’ho conosciuto e abbiamo iniziato a chiacchierare». È una storia vera, spiega l’autrice, «non c’è nulla di romanzato in questo libro». 

Oggi Besnik è un uomo di quasi cinquant’anni e «le sue teste in ceramica fanno il giro di tutto il mondo – racconta Lucia Andreano – perché sono particolari, sono molto grandi, come lo erano quelle realizzate durante le dittature dell’Est». La sua, come quella di tanti suoi conterranei, è una storia fatta di «sofferenza e solitudine, di crisi e diffidenze», continua la scrittrice, prima per la sua condizione di immigrato, poi per le sue origini. «Era chiamato l’albanese, non aveva il permesso di soggiorno e quando ha aperto il suo laboratorio è iniziato per lui un altro tipo di solitudine – aggiunge -, ha dovuto dimostrare di essere una brava persona, perché rappresentava una popolazione che nell’immaginario collettivo portava guai».

Andreano insegna Lettere in un istituto tecnico catanese, dove è impegnata in progetti per l’educazione alla legalità e all’integrazione sociale, e nella lotta alla dispersione attraverso l’uso del linguaggio scritto. «In molte occasioni ho lavorato con ragazzi in difficoltà dal punto di vista sociale e psicologico – racconta -. Ho capito che attraverso la scrittura si può raggiungere l’anima di una persona e fare emergere le sue potenzialità. È così che i ragazzi iniziano ad avere consapevolezza di sé e ad avere fiducia negli altri, ed è così che ha inizio il percorso di integrazione». Il libro, pubblicato da Duetredue edizioni, sarà presentato durante il Festival di Geopolitica Mare liberum, un appuntamento collaterale al G7 di Taormina, dal 26 al 28 maggio a Catania.


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