Il Consiglio di giustizia amministrativa ha pubblicato nel pomeriggio la decisione sul ricorso presentato dalla Wake Surf Center contro la sentenza di primo grado. Adesso la società valuta di rivolgersi alla giustizia europea. Tutti i dettagli della sentenza
Cable Park, il Cga dà ragione al Comune di Acireale «Opere incompatibili con la destinazione dell’area»
Arriva alla vigilia di Natale la scure sul progetto del cable park di Acireale, il parco acquatico che sarebbe dovuto sorgere nella frazione di Aci Platani attraendo appassionati di kite surf da tutto il Meridione. L’opera, realizzata soltanto parzialmente, prima che venisse sequestrata dal Comune di Acireale che ne ha contestato il carattere abusivo, da anni è al centro di una lunga querelle giudiziaria. Oggi il Consiglio di giustizia amministrativo ha respinto l’appello principale presentato dai privati della Wake Surf Center, confermando di fatto la sentenza di primo grado emessa dal Tar. Un pronunciamento che si credeva potesse arrivare a inizio del nuovo anno e che invece è stato pubblicato questo pomeriggio.
«La sentenza ribadisce la linearità e la correttezza usate dagli uffici comunali», si legge in una nota del Comune di Acireale pubblicata poco dopo la diffusione della notizia. «Nel sottolineare la piena legittimità della condotta tenuta dal Comune di Acireale, in ogni suo aspetto, (il Cga, ndr) ha posto il compenso e le spese del verificatore interamente a carico della parte appellante soccombente, che è stata condannata pure al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, anche questo a favore del Comune di Acireale», prosegue la nota.
La società sin dal principio ha contestato le accuse di abuso edilizio, poggiando il proprio convincimento anche sull’archiviazione dell’indagine penale che era seguita, nel 2017, al sequestro del cantiere da parte dei vigili urbani. Sul fronte amministrativo, però, la giustizia ha dato ragione all’ente locale che ha già acquisito al patrimonio del terreno e del laghetto artificiale di via San Piero Patti. Il Comune, dal canto suo, ha sostenuto di avere agito in quanto le opere realizzate non potevano essere costruite senza avere prima ottenuto la variante urbanistica. «Le ragioni dell’incompatibilità delle opere realizzate con la destinazione agricola dell’area (per i tralicci, l’invaso e i cavi metallici) e della erronea presentazione della Scia anziché del permesso di costruire (per il prefabbricato), da sole – si legge nella sentenza del Cga – costituiscono giustificazioni atte a supportare gli atti amministrativi impugnati in questione (tanto il diniego sull’istanza di accertamento di conformità che dell’ordinanza di demolizione), dimodoché l’impugnativa avverso gli stessi non può trovare accoglimento».
Il collegio giudicante ha anche rigettato la richiesta di nomina di un nuovo verificatore, dopo le contestazioni rivolte all’operato del consulente – un funzionario del Genio civile – scelto dal Cga per misurare le opere ritenute abusive. «Il verificatore ha operato garantendo il contraddittorio tra le parti, ha tenuto nel debito conto le osservazioni formulate dalle stesse e ha fornito al giudice elementi di fatto rilevanti al fine del decidere – riporta la sentenza -. La critica mossa dalle parti alla relazione di verificazione con le memorie depositate in vista della presente udienza, rientrando nella normale dialettica processuale, non ne inficia il contenuto sostanziale e non intacca i punti sostanziali della stessa».
Nel proprio ricorso, la società Wake Surf Center aveva ribadito come le dimensioni delle opere fossero inferiori a quelle indicate dal Comune e le struttue prefabbricate facilmente amovibili. L’assunto, tuttavia, non è stato condiviso dai giudici. «I dati riportati nella relazione consentono al collegio di apprezzare la reale entità e le dimensioni dell’intervento edilizio anche al netto dei presunti errori di misurazione che, in vero, non appaiono influire sulla qualificazione giuridica delle opere stesse – scrivono i giudici -. Non muterebbe decisione il Collegio anche nell’ipotesi in cui si dovessero ritenere fondate le critiche relative alla misurazione. Le opere sono incompatibili con la destinazione urbanistica del suolo su cui ricadono e non hanno le caratteristiche di opere temporanee e facilmente amovibili e precarie». Nella sentenza si fa riferimento anche all’archiviazione sul piano penale del procedimento nei confronti degli imprenditori. «È pacifico che quanto accertato in sede di indagini penali non limiti il giudice amministrativo nella formulazione dei suoi giudizi – scrive il collegio – se non in merito alla storica ricostruzione di quanto accertato in fatto. Nella presente fattispecie il giudice amministrativo dispone di un compendio probatorio più esaustivo rispetto a quello posto dal Procuratore alla base della propria richiesta».
La parola fine nella storia del cable park però non è detta che sia arrivata oggi. L’impresa, infatti, convinta di avere fin qui operato nel rispetto delle normative, starebbe valutando di ricorrere alla giustizia europea.