Due gruppi imprenditoriali americani vorrebbero investire in Sicilia, e precisamente nellarea industriale di Termini Imerese, proprio là dove, appena qualche settimana fa, ha chiuso i battenti lo stabilimento della Fiat, gettando in mezzo alla strada 2 mila e 200 lavoratori con le loro, rispettive famiglie. Ebbene, a fronte di questa opportunità, nella stessa area industriale di Termini Imerese non si trova lo spazio per consentire ai due gruppi americani di localizzare i proprio impianti.
Un paradosso? Una follia? Oppure a Termini Imerese hanno già risolto il problema della disoccupazione che si è creata dopo la chiusura della Fiat? O, ancora, è solo una questione di sfiducia verso questi due gruppi imprenditoriali statunitensi?
Abbiamo girato queste e altre domande al sindaco di Termini Imerese, Salvatore Burrafato.
In questa fase – ci dice il sindaco – dobbiamo capire -. Ci sono troppe cose che girano per il verso sbagliato. Per esempio, ci sono troppe persone e troppi soggetti che gravitano attorno alla possibilità di reindustrializzare Termini Imerse. Cè una parcellizzazione di responsabilità che non aiuta. Anzi.
Cosa intende quando parla di parcellizzazione delle responsabilità?
La mia è una constatazione oggettiva, che è sotto gli occhi di tutti. Una qualunque impresa che decide di investire in Sicilia – e quindi anche a Termini Imerese – per avviare le procedure dinsediamento deve, in primo luogo, trovare le aree. Poi deve chiedere e ottenere le concessioni edilizie. Quindi, trattandosi di attività industriali, ci sono tutte le questioni legate alla tutela dellambiente: per esempio, limmissione dei fumi nellatmosfera, che vanno ovviamente monitorate. E qui entra in scena lassessorato regionale al Territorio e Ambiente. Se poi ci sono problemi paesaggistici tutto si complica.
Perché entrano in scena le Sovrintendenze.
Esatto. E lì altre pratiche da inoltrare, altro tempo che vola via girando per gli uffici pubblici. Così un qualunque imprenditore – specie se estero e, quindi, non abituato alle lungaggini burocratiche della Sicilia, anzi dellItalia tutta – si scoraggia.
Scusi sindaco: se non ricordiamo male, apppena qualche mese fa, lAssemblea regionale siciliana ha approvato una legge sulla semplificazione amministrativa. Sono stati acquistati spazi qua e là per farla conoscere ai cittadini. Si parlava di liberare le imprese dai lacci e dai lacciuoli…
Si è trattato solo di un esercizio che non ha risolto i problemi di chi vuole investire in Sicilia.
Qual è la soluzione, a suo avviso?
Se si vuole veramente far arrivare gli investitori in Sicilia bisogna creare un soggetto unico. Un qualunque imprenditore estero che mette piede nella nostra Isola con lintenzione di creare unattività imprenditoriale impiega almeno un mese per capire in quali uffici deve presentare le decine e decine di domande e autorizzazioni. Così non va. O si cambia, o scapperanno tutti.
In questa storia dei due gruppi americani che – diciamolo – tra mancanza di terreni e burocrazia, non sono stati certo incoraggiati a restare in Sicilia a fare impresa, ci sono almeno un paio di cose strane. Lassessore regionale alla Attività produttive, Marco Venturi, per esempio. E un governante che comunica molto bene quello che fa. Però in questa vicenda ha optato per il silenzio…
E quello che ho notato pure io: né Venturi, né Confindstria Sicilia hanno preso posizione:
Perché?
Non lo so. Lo chieda a loro.
Sa, a Palermo lAutorità portuale ha messo il cappello su alcune aree attraverso un Piano regolatore generale del porto che ha suscitato perplessità e qualche polemica. Non è che, anche a Termini, è in corso qualche operazione sulle aree costiere?
Non credo prorpio.
Ma, alla fine, i due gruppi americani riusciranno a fare impresa a Termini Imerese?
Me lo auguro. Ma devono venire allo scoperto.
Cioè?
Vede, quando si annuncianoo investimenti così importanti non bastano le parole. Ci vogliono i fatti. Concreti.
Per esempio, i capitali?
Per esempio. Ma anche la volontà concreta di volere investire. Facendo chiarezza su tutti gli espetti del progetto.
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