Si è fatta attendere a lungo, ma alla fine è arrivata. È la delibera della Corte dei conti di Palermo sui documenti contabili del Comune di Catania. Solo il primo dei pronunciamenti dei giudici attesi dal 31 maggio scorso, giorno in cui l’assessore al Bilancio Giuseppe Girlando e la segretaria generale Antonella Liotta sono stati convocati in via Notarbartolo per rispondere alle domande della magistratura palermitana. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata e il rischio dissesto è stato allontanato, anche con una mano arrivata direttamente dal decreto governativo sugli enti locali, che ha salvato Palazzo degli elefanti dalla pressante scadenza della rimodulazione del piano di rientro. Ma, seppure con conseguenze ridimensionate, la sezione di controllo non rinuncia a uno schiaffo nei confronti dell’amministrazione guidata dal sindaco Enzo Bianco. Ed è così che al termine di un documento di 24 pagine depositato il 29 luglio risultano essere dieci su undici i «profili di criticità». Che riguardano anche «documentazione carente» che «ostacola il controllo». Su questi punti l’amministrazione ha altri 60 giorni per produrre nuovo materiale. Un’altra proroga, che si somma a quelle già ottenute e che servono a far tirare continuamente un sospiro di sollievo agli uffici della Ragioneria comunale.
La delibera comincia con il ritardo nell’approvazione del rendiconto di gestione 2014 e del bilancio di previsione dello stesso anno, per poi passare a rilievi che entrano nel merito dei numeri. Come quelli sullo scoperto bancario: oltre 95 milioni di euro nell’anno 2014. «Una criticità sempre più grave, dal momento che nell’esercizio 2013 il deficit a fine anno aveva una consistenza pari a 42 milioni di euro», scrivono i giudici. Una differenza, in negativo, di 53 milioni di euro. A questo si aggiunge il ricorso alle anticipazioni di tesoreria, che «testimonia l’incapacità di reperire, attraverso una puntuale riscossione delle entrate proprie, la liquidità necessaria per potere assolvere agli impegni assunti – aggiungono – e per potere assicurare la normale conduzione dei servizi e il regolare adempimento degli obblighi correlati alla gestione ordinaria dell’ente». La Corte dei conti, poi, attacca anche l’importo complessivo del piano di rientro: il disavanzo ammontava a 140 milioni di euro nel 2013, diventati 169 milioni nel 2014. Un aumento dei debiti che sfiora il 20 per cento del totale e che Palazzo degli elefanti è costretto a considerare nella prossima rimodulazione del piano.
Secondo la magistratura contabile, un altro dei problemi del Comune etneo è l’incapacità di pretendere dai cittadini le tasse dovute. A fronte di 32 milioni di euro di evasioni fiscali accertate, a Catania ci sarebbero «riscossioni pari a 64mila euro». Vale a dire lo 0,1 per cento dell’ammontare complessivo degli accertamenti eseguiti. Va meglio, ma di poco, se si parla delle multe elevate dai vigili urbani per le effrazioni al codice della strada e gli abusi edilizi: «L’ente accerta importi pari a 18 milioni di euro, ma ne riscuote solo 1,5 milioni, con una percentuale di riscossione pari all’8,4 per cento». E sempre di soldi che il Comune non riesce a incassare si parla quando si fa riferimento ai cosiddetti residui attivi. Cioè, i crediti dell’amministrazione. Che si accumulano senza che vengano effettivamente recuperati. Nel 2012 l’importo di quelli più vecchi di cinque anni era inferiore di 98 milioni di euro rispetto ai 165 milioni del 2014. Un dato che «assume una particolare significatività» perché il piano di riequilibrio si è basato sui dati contabili del 2012. E l’aumento di crediti vecchi che non sono stati riscossi «rischia di pregiudicare l’attendibilità dei numeri esposti e di celare un disavanzo finanziario assai più consistente».
Se poi si considerano anche i crediti più recenti «nel 2014 assumono una consistenza complessiva pari a 939 milioni di euro, con un incremento di 152 milioni rispetto al 2013. Mentre i residui passivi (i debiti, ndr), quantificati nell’ammontare di 951 milioni di euro, risultano aumentati, rispetto ai dati dell’esercizio precedente, di 139 milioni». Altro giro, altra corsa: ai debiti fuori bilancio la Corte dedica un paragrafo a parte. In cui si sottolinea, di nuovo, la mancata conciliazione delle spettanze destinate alle società partecipate: la Sidra (che vanta il disallineamento più consistente: 38 milioni di euro), l’Asec trade, la Catania multiservizi e l’Amt. Senza i necessari chiarimenti di questi possibili contenziosi, le casse di Palazzo degli elefanti vacillano. Un passaggio merita anche il tardivo riconoscimento dei debiti fuori bilancio: secondo i giudici di Palermo arrivano in consiglio comunale troppo tardi perché gli organismi istituzionali possano effettivamente vagliarli e controllarli. Un punto riguarda, infine, il collegio dei revisori dei conti: i dati inviati dagli esperti contabili non coincidono con quelli acquisiti dalla Corte dei conti. Un fatto che avrebbe una «significativa rilevanza in quanto compromette la necessaria imparzialità e attendibilità che deve caratterizzare l’operato del collegio». Adesso la palla passa al consiglio comunale per «l’adozione delle necessarie misure correttive». Ma anche al ministero dell’Interno «per le valutazioni di competenza».
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