La Corte dei conti romana due mesi fa ha sposato la posizione dei colleghi palermitani sulla rimodulazione dei piani di rientro. Anche secondo i togati nazionali alla questione dello spalmare i debiti in trent'anni vanno applicati dei limiti. Un pronunciamento che potrebbe anticipare quello che si attende per Catania
Bilancio, da Roma l’appoggio alla Corte siciliana «Conclusioni sono meritevoli di apprezzamento»
«Meritevole di apprezzamento». È questa la definizione che la sezione delle Autonomie della Corte dei conti di Roma dà del lavoro dei colleghi palermitani. Citando esplicitamente il parere dato al Comune di Giarre su come rimodulare il piano di riequilibrio. È un altro capitolo dell’intricata vicenda che riguarda il Comune di Catania e il rischio dissesto. Una storia che si è spostata da Palazzo degli elefanti alla sede della magistratura contabile in via Notarbartolo, a Palermo. E che pare sia stata rilanciata fino alla Capitale, perché i magistrati contabili palermitani avrebbero domandato un consulto ai colleghi togati romani. La loro risposta, però, potrebbe stare in un pronunciamento di aprile 2016.
La Corte romana, esprimendosi su un caso legato a Favara, nell’Agrigentino, torna sul tema della legge di stabilità 2015. E dell’interpretazione corretta da dare all’articolo che parla della riformulazione del piano di riequilibrio di un’amministrazione in difficoltà economiche. È questo argomento, del resto, il centro dello scontro tra la sezione di controllo della Corte dei conti di Palermo e l’assessore al Bilancio etneo Giuseppe Girlando. I giudici sostengono che si possa spalmare in scala trentennale – anziché decennale – solo il disavanzo tra crediti e debiti. L’avvocato catanese prestato alla giunta guidata da Enzo Bianco, invece, interpreta la legge in maniera più ampia: a poter essere rimodulato in trent’anni è il piano di rientro per intero. Sul piatto ci sono milioni di euro e il futuro della città.
È attorno a questo tecnicismo che potrebbe ruotare la tenuta economica del municipio catanese. Una situazione comune a molte amministrazioni locali. Tanto che per evitare di trovarsi in questa situazione a gennaio, all’indomani dell’approvazione della legge di stabilità, l’allora sindaco di Giarre Roberto Bonaccorsi aveva chiesto un parere alla Corte dei conti di Palermo. A rispondergli erano stati il presidente Maurizio Graffeo e il suo braccio destro, Giovanni Di Pietro. Gli stessi che oggi si trovano per le mani la spinosa questione di Palazzo degli elefanti. A gennaio Graffeo e Di Pietro avevano firmato un documento che conteneva, secondo loro, la giusta interpretazione della normativa nazionale. Una posizione che non hanno cambiato neanche adesso.
Per dirimere la questione Catania, però, sembra che non basti che gli stessi giudici diano ragione a se stessi, ribadendo una determinazione già enunciata. Così il piano dello scontro arriva a coinvolgere anche la sezione delle Autonomie. Che, però, di questo tema ha già parlato, riferendosi al Comune di Favara. Due mesi fa, i romani citavano per iscritto la decisione legata a Giarre e la definivano, come detto, «meritevole di apprezzamento». Tanto da trasformarla in un vero e proprio «principio di diritto». Vale a dire in un’indicazione da seguire per dirimere le controversie future, non solo in Sicilia ma in tutta Italia.
In altri termini: anche a Roma, da tempi non sospetti, danno ragione ai palermitani. Entro la fine del mese dovrebbe arrivare la decisione della magistratura su Catania. In mezzo dovrebbe arrivare anche la versione della conferenza Stato-Regioni, più volte invocata da Girlando. L’appuntamento con l’organismo governativo era stato fissato per il 9 giugno, ma la discussione sui debiti delle pubbliche amministrazioni comunali è stata rinviata. E la data della prossima discussione non è ancora stata resa nota.