Di fronte al giudice per le indagini preliminari iniziano a comparire i 16 indagati del blitz contro il clan Tomasello-Mazzaglia-Toscano. Tra loro anche Marcello Merlo, 59 anni, primo cittadino biancavillese dal 1993 al 1994
Biancavilla, iniziati gli interrogatori sulla Città blindata C’è anche l’ex sindaco di Rifondazione accusato di mafia
Sono iniziati gli interrogatori di garanzia per le 16 persone finite in manette nell’operazione Città blindata, che ha travolto Biancavilla. Sono accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti e al porto e alla detenzione illegale di armi. Per la procura di Catania, che si è avvalsa delle dichiarazioni di sei pentiti, sono tutti personaggi vicini al clan Tomasello-Mazzaglia-Toscano, longa manus dei santapaoliani a Biancavilla.Tra gli arrestati un insospettabile: l’ex sindaco biancavillese dal settembre del 1993 al maggio del 1994, appartenente a Rifondazione Comunista, Marcello Merlo, 59 anni. Nel carcere di Trapani, i giudici lo hanno sentito. L’uomo sarebbe stato, secondo gli inquirenti, parte integrante del clan dall’ottobre del 2016 al maggio del 2017. Avrebbe svolto un ruolo da intermediario tra il fratello Massimo Merlo, detenuto in carcere per l’omicidio di Maurizio Maccarrone e coinvolto anche’egli nell’indagine Città blindata, e i sodali del clan che agivano sul territorio.
Dalle registrazioni sarebbe emerso che Marcello Merlo non soltanto avrebbe svolto un ruolo di messaggero, ma si sarebbe occupato in prima persona di detenere le armi del gruppo e di gestire la contabilità relativa a taluni fatti illeciti. L’ex sindaco, assistito dall’avvocato Giuseppe Furnari, avrebbe risposto alle domande del magistrato «chiarendo ampiamente la propria posizione e dichiarandosi del tutto estraneo al contesto associativo». Marcello Merlo, professionista, è il responsabile dell’area vendite di una grossa azienda siciliana. Al momento dell’arresto si trovava a Trapani per lavoro. Merlo fu uno degli ultimi sindaci eletti dal consiglio comunale prima che entrasse in vigore la nuova legge elettorale, che prevede l’elezione diretta del primo cittadino. Dopo qualche tempo, cambiò casacca e di distaccò tanto dagli azzurri quanto dalla politica attiva.
Ad incastrare l’uomo sarebbero state le intercettazioni: in una di queste le orecchie degli investigatori hanno registrato un colloquio in carcere tra Marcello Merlo e il fratello Massimo. Il 59enne in visita al congiunto avrebbe riferito al parente di essere a conoscenza del fatto che avrebbe lasciato un erede che lo stesso Marcello avrebbe già incontrato. Nel prosieguo del dialogo sarebbe emerso che Massimo Merlo era diventato il punto di riferimento di un gruppetto che faceva sempre capo al clan di Biancavilla retto da Alfio Ambrogio Monforte e non più al clan Laudani di Catania. I due fratelli avrebbero poi parlato del denaro proveniente da una estorsione che doveva andare a favore del gruppo Merlo: «Quindi sono due cose separate – diceva Massimo Merlo al fratello – l’estorsione che hanno loro con la nostra, sono due cose distinte, che camminano distinte e separate. Iddi su iddi e nuautri semu gruppo Merlo, quindi un altro discorso».
A confermare il ruolo assunto dall’ex sindaco all’interno del gruppo anche due intercettazioni in carcere tra Alfio Ambrogio Monforte e il figlio Andrea (entrambi arrestati nell’operazione Città blindata), in quanto consentirebbero di cogliere la comunanza di interessi che avrebbe unito i Merlo ad Alfio Monforte e, al contempo, il ruolo assunto da Marcello Merlo a seguito dell’arresto del fratello. Nel corso di una intercettazione Alfio Ambrogio Monforte, oltre a impartire ordini e indicare a chi mandare «i soldi», avrebbe aggiunto di andare a parlare con «Merlo quello di Fontana Vecchia»: secondo la procura si trattava di Marcello, fratello di Massimo. Inoltre nel corso di un colloquio registrato dalle cimici degli investigatori i due fratelli avrebbero parlato in modo «criptico» e avrebbero indicato con il termine «picciriddi» le «armi» che erano ancora in giro e che «Marcello si impegnava a recuperare». «Allora gli dico: “U picciriddu tonnimmillu, ca’ m’aggiuva“», dice Marcello Merlo registrato. E il fratello Massimo gli risponda: «Bravo, poi c’era… E poi ti devi fare raccontare come sia finita con gli altri due picciriddi. Con gli altri due figli, quelli più grandi».