Una protesta contro i tempi della burocrazia, troppo lunghi per ottenere lo status di rifugiato politico. E per la qualità del cibo, ritenuta troppo scarsa nel centro di accoglienza Giovanna Romeo Sava di Belpasso, in provincia di Catania. È per questo motivo che Anis Amri, il tunisino sospettato di essere l’attentatore dello scorso lunedì a Berlino, è stato arrestato cinque anni fa dalle forze dell’ordine di Catania. In quell’occasione – era la notte tra il 22 e il 23 ottobre 2011 – il ragazzo assieme a quattro connazionali avrebbe picchiato il custode e dato fuoco ad alcuni materassi della struttura, causando un incendio domato solo alcune ore dopo dai vigili del fuoco. Arrivava da Lampedusa, dove era sbarcato assieme a centinaia di altri giovani connazionali dopo la primavera araba. Il primo grande flusso di migranti verso la Sicilia, in un momento in cui le istituzioni non erano ancora pronte a garantire l’accoglienza.
Così, in quei giorni, di proteste ce n’erano state tante. Da una parte il sovraffollamento, dall’altra il vivere insieme a stranieri con profonde differenze culturali. Poi le esigenze religiose rispetto al cibo, non sempre rispettate dalle autorità italiane, che non avevano ancora chiaro come fronteggiare il fenomeno. Amri oggi ha 24 anni e su di lui pende un mandato di cattura internazionale, nonché una taglia di 100mila euro da dare a chiunque sia in grado di fornire informazioni utili per il suo arresto. Quando – a febbraio 2011 – è arrivato a Lampedusa, secondo le sue dichiarazioni, era ancora minorenne. Per questo motivo è stato trasferito nella struttura del Catanese dove ha passato alcuni mesi e ha iniziato un percorso scolastico. Interrotto dalla sommossa di quei giorni. Il centro di accoglienza di Belpasso è da questa mattina chiuso in silenzio stampa: a chi chiede informazioni, consigliano di mandare un fax.
Dall’hinterland etneo in poi, una serie di trasferimenti nei vari penitenziari isolani: prima il carcere catanese di piazza Lanza, per poco più di sei mesi, poi il trasferimento al Bodenza di Enna e, l’11 dicembre 2012, nel carcere di Sciacca. In base alla storia carceraria del ragazzo, citata dall’agenzia giornalistica Ansa, resta lì per più di un anno. E viene accusato – il 28 maggio 2013 – di non trovarsi nel posto che gli era stato assegnato dall’amministrazione carceraria. Il 29 giugno, viene segnalato per intimidazione e sopraffazione dei compagni, il 17 ottobre per atteggiamenti offensivi. Il 31 gennaio 2014 arriva nel carcere di Agrigento: sarebbe stato segnalato – il 31 marzo e il 15 aprile – per disordini e sommosse, e poi – il 28 agosto – per intimidazioni. Quindi viene spostato – il 9 settembre – al carcere Pagliarelli di Palermo: qui sarebbe arrivata una ulteriore segnalazione, il 24 novembre, per inosservanza degli ordini. Resta al Pagliarelli per quattro mesi e il 10 gennaio 2015 è all’Ucciardone: il 16 gennaio e il 9 aprile viene accusato di atteggiamenti molesti nei confronti dei compagni.
La scarcerazione dall’Ucciardone arriva il 18 maggio 2015. Dopo quattro anni di carcere viene affidato all’ufficio immigrazione della questura di Palermo. A questo punto un altro trasferimento, l’ennesimo, stavolta nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Pian del lago, a Caltanissetta. Ma il meccanismo di rimpatrio s’inceppa. Dalla Tunisia non arrivano i documenti, Anis Amri non viene rispedito a casa e di lui si perdono le tracce. Riappare in Germania mesi dopo: lì, secondo i quotidiani internazionali, sarebbe cominciato il processo di radicalizzazione che lo avrebbe portato ad avvicinarsi all’Isis. Che ha rivendicato l’attentato. Per il momento del giovane tunisino non si sa nulla: alla sua identità si sarebbe risaliti per via di un documento d’identità dimenticato sul tir che ha ucciso 12 persone, mentre passeggiavano tra i mercatini di Natale della capitale tedesca.
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