Bellolampo inquina il mare di Palermo

All’Acquasanta e nei dintorni di via Montalbo lo sanno bene. Quando arriva lo scirocco è meglio non farsi trovare in casa, non perché la calura è difficile da sopportare, quanto perché i miasmi provenienti dal mare invadono tutta la zona portuale, risalgono per le case dei marittimi, giungono talvolta perfino al “cinque stelle” di Villa Igiea, creando non poco imbarazzo a maitre e camerieri del prestigioso albergo. Il tanfo di fogna invade tutto il quartiere e non se ne va se lo scirocco non smette di alitare nervoso e inquieto.
Ormai c’hanno fatto l’abitudine con il vento che chissà per quale strano gioco del destino fa risalire le puzze di quei nove scarichi fognari che finiscono a mare. Perché all’Acquasanta arrivano gli scarichi non depurati di 450.000 abitanti, due terzi della città di Palermo. Un carico micidiale di inquinanti, che fa schizzare verso l’alto la curva di eutrofizzazione, ma che è poca cosa rispetto agli altri veleni presenti nel porto. Veleni chimici di non facile degradazione, destinati a rimanere lì per anni, per decenni. Ne è convinto l’Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca ambientale che ha svolto un’indagine accurata sui fondali del porto.
Tutto nasce da una richiesta dell’Autorità Portuale di Palermo, presieduta dall’ingegnere Nino Bevilacqua. L’Ex ente porto vorrebbe dragare i fondali del porto, così come prevede la legge Ronchi del ’97. Dove portare 600 mila quintali di sedimenti marini? A Bellolampo è impossibile, ci vorrebbe una discarica per rifiuti speciali che non è esattamente dietro l’angolo. E allora? Una soluzione potrebbe essere quella di “tombare” i reflui in fondo al mare, containerizzarli nel cemento e lasciarli lì dove sono, per impedire l’ulteriore rilascio di sostanze inquinanti.
Intanto, l’Autorità portuale vuol sapere cosa c’è in fondo al mare. Per questo chiama in causa l’Ispra, l’Istituto posto sotto la tutela del Ministero dell’Ambiente. L’Ispra così si attiva con i suoi chimici, i suoi biologi, i suoi geologi per venire a capo del problema. Parte lo studio sulla qualità dei sedimenti del bacino portuale di Palermo per individuare un sito di discarica compatibile. L’Ispra non lo dice, forse per onore di campanile, ma quello dell’Acquasanta è il porto più inquinato di tutto il Mediterraneo. Perché non ci sono solo i reflui fognari della città. In fondo al mare c’è ben altro. Dal ’99 al 2003 si effettuano i carotaggi nei fondali di questo approdo, che si spingono per otto metri sul fondo. Ai liquami che nel gergo tecnico vengono definiti “bruti”, cioè senza trattamento, si aggiungono sostanze chimiche sversate dalle navi, detriti, rifiuti di ogni genere riversati in mare dal ‘400 in poi.
Non si sorprendono, i biologi, di trovare tassi di colibatteri “stellari”. Quel che stupisce i tecnici è l’alto tasso di inquinanti chimici: piombo tetraetile, cadmio, cromo, mercurio, quelli che vengono volgarmente chiamati metalli pesanti e che hanno tempi di smaltimento lentissimi. Possono anche finire nella catena alimentare, accumulandosi di pesce in pesce, organo bersaglio è il fegato. Il piombo, per fare un esempio, ci mette mille anni prima di essere demolito e rientrare nel ciclo naturale.
Ma nei sedimenti ci sono altre sostanze venefiche: pesticidi organoclurati, policlorobifenili (PCB), Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Ora, poiché alcuni composti possono provenire dalle tante navi che approdano, sia da crociera che mercantili, per alcune sostanze, di moderna sintesi, gli specialisti all’inizio non hanno trovato sufficienti spiegazioni. Salvo poi giungere ad altre conclusioni, incrociando studi riguardanti altre sostanze inquinanti rinvenute nelle falde della Conca d’Oro. I pesticidi, per esempio. Che ci fanno i pesticidi in mare? E i metalli pesanti? Attraverso “traccianti”, i tecnici sono giunti ad un’amara conclusione: i veleni nel porto vengono dalla discarica di Bellolampo. Si sono insinuati nel sottosuolo, hanno raggiunto le falde sottostanti, poi il canale Celona, a Cruillas, affluente del passso di Rigano, che sfocia proprio ai Cantieri Navali. Dopo sessant’anni i veleni hanno trovato la loro strada per giungere fino al mare e nessuno li ha fermati.
Che fare per invertire la rotta? L’Ispra lo dice a chiare lettere: ci vuole un depuratore proprio lì dove giungono a mare i reflui fognari del passo di Rigano e degli altri otto scarichi. Un progetto non c’è, ma già nel Parfur, il Piano di attuazione della rete fognaria varato nell’85 dall’allora sindaco, Leoluca Orlando, si prospettava la necessità di una rete di depuratori. Ne sono stati realizzati due, ad Acqua dei Corsari e a Fondo Verde. Ce ne vuole un altro, il più importante, per liberare il porto dai suoi veleni.
Intanto i risultati delle ricerche dell’Ispra, debitamente tradotti in inglese, sono stati presentati un anno fa a Livorno, durante un convegno internazionale sulle acque. Il “Caso Palermo” è stato seguito con grande attenzione. Forse troppa. Tanto che gli israeliani, i più sensibili al problema del risparmio idrico, sentendo che i palermitani scaricano a mare i reflui del depuratore di Acqua dei Corsari hanno chiesto allibiti ai tecnici dell’Ispra lì presenti: “Ma come diavolo fate a buttare a mare tutta questa ricchezza?”.

 


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