Sbloccare l'asporto anche nella ristorazione. È quanto chiedono le associazioni. E informazioni chiare sulla ripartenza. «Paretine in plexiglass, menu digitali, autocertificazioni per sedere allo stesso tavolo, accorgimenti ai bagni. Di questo si deve parlare»
Bar e ristoranti, le soluzioni per riaprire in sicurezza «Asporto subito e ci dicano in tempo quando si riparte»
Sbloccare subito la possibilità di vendita d’asporto. Per tutti i bar, ristoranti, pizzerie. E dare il prima possibile indicazioni e tempi chiari sulla riapertura totale delle attività. «Perché un locale fermo da due mesi non si rimette in moto dall’oggi al domani». Il settore della ristorazione in Sicilia non ce la fa più. Dopo 40 giorni di chiusura totale la situazione è al collasso: 105mila dipendenti, soltanto tra quelli associati alla Fipe Confcommercio, sono in cassa integrazione e ancora non hanno percepito un euro. Ai titolari che ne hanno fatto richiesta sono stati accreditati i 600 euro di marzo. «Una goccia in un mare di guai», dice Antonio Cottone, alla guida degli esercenti palermitani e vicepresidente della Fipe regionale.
Per questo, la principale associazione di categoria ha scritto una lettera al presidente della Regione Nello Musumeci e ai nove sindaci dei capoluoghi. «L’asporto va sbloccato subito – spiega Dario Pistorio, il presidente regionale della Fipe – perché macellerie, panifici, supermercati sì e bar e ristoranti no? Se non lo fa il governo nazionale, deve intervenire in deroga la Regione».
Dare la libertà ai ristoranti di restare aperti a pranzo e a cena fino alle 21, con ingressi contingentati, per consegnare pasti da portare a casa. O ancora: permettere ad esempio ai bar di vendere arancini e cannoli, sempre d’asporto. Questo chiedono i ristoratori siciliani. Anche perché lamentano che alcune attività rimaste aperte, come i panifici, vendono anche dolci e tavola calda. «Certamente – precisa Pistorio – il via libera andrebbe accompagnato a una maggiore libertà delle persone di muoversi, perché è chiaro che comprare un arancino non è esattamente una questione di assoluta necessità». Anche se forse non tutti sarebbero d’accordo su questo punto dopo oltre un mese di astinenza. Ironia a parte, a Musumeci viene fatta un’altra richiesta, che dipende solo da lui: permettere le consegne a domicilio nei festivi. Uno stop imposto a livello siciliano prima delle festività pasquali e ancora in vigore.
«Moltissimi sono presi dallo sconforto, ma cresce il numero di chi ha avviato attività di consegna a casa» spiega Cottone, che gestisce diversi ristoranti-pizzerie a Palermo e può contare su una quarantina di dipendenti, di cui quattro sono rimasti a lavoro proprio per curare il delivery. «Noi facciamo consegne da tempo, all’inizio dell’emergenza in tutta Palermo eravamo una decina, ma molti altri ora si sono organizzati». Secondo i dati della Fipe dall’inizio del lockdown il 10 per cento dei ristoranti e dei bar siciliani ha avviato per la prima volta la vendita a domicilio. E si stima che questa percentuale possa crescere fino al 30 per cento già dalla prossima settimana. «Chi si appoggia sulle aziende specializzate, come Glovo ecc, non ha bisogno di niente – precisa Pistorio – Chi usa mezzi propri per spostarsi deve mandare una Pec alla prefettura, senza necessità di avere risposta». In realtà nella propria Scia (la certificazione di inizio attività) dovrebbe essere indicata un’attività di esercizio di vicinato o di catering. Ma in queste settimane i controlli si stanno giustamente concentrando solo sull’aspetto igienico-sanitario.
Al di là del via libera all’asporto, gli esercenti chiedono però anche tempi e modalità sulla vera ripartenza. «Servono informazioni chiare almeno dieci giorni prima – sottolinea Cottone – aprire un locale fermo da due mesi è impegnativo: bisogna fare due volte la sanificazione, prima delle pulizie e il giorno prima della riapertura, serve ripristinare i macchinari. E questo solo dal punto di vista igienico sanitario. Se poi arriveranno direttive sul distanziamento, ce ne vorrà ancora di più».
I suggerimenti da parte degli stessi ristoratori non mancano e per questo la Fipe Confcommercio sta preparando un documento da sottoporre alle istituzioni che dovranno decidere. «Abbiamo proposto delle paretine in plexiglass tra un tavolo e l’altro dove non c’è abbastanza spazio – spiega il presidente della Fipe di Palermo – Ma resta da capire se un nucleo familiare che già convive a casa potrà sedere allo stesso tavolo. A noi sembra una cosa ovvia, ma va normata. Un’ipotesi potrebbe essere un’autocertificazione in cui chi entra si prende la responsabilità di vivere sotto lo stesso tetto, non essere positivo e aver ottemperato agli obblighi di quarantena se previsti». E ancora: «Il menu – continua Cottone – andrebbe sanificato almeno a ogni cambio tavolo. Noi da tempo abbiamo il menu digitale: chi si siede al tavolo trova un Qrcode e scarica il menu sul suo cellulare. Può essere una soluzione. E i bagni? Igienizzante all’ingresso, chi ha già lo scarico e il getto di aria calda automatici si trova avanti. Ma per chi non è attrezzato, servono investimenti. Il Cura italia prevedeva un credito d’imposta fino a 20mila euro per sanificazione e acquisto di strumenti utili. Dobbiamo ripartire da qui e amplificare questa possibilità. Serve l’intervento dello Stato, che ci deve ascoltare perché se non sei del settore a queste cose non ci pensi».