Nell'inchiesta Gorgoni vengono presi in esame anche gli episodi che, nell'estate del 2016, hanno interessato i mezzi all'interno del deposito della ditta Ef Servizi Ecologici, in contrada Santa Venerina. Le intercettazioni svelano la rabbia dell'imprenditore Guglielmino e l'organizzazione per la vendetta di quei roghi
Avola, i retroscena degli incendi ai mezzi dei rifiuti L’intervento del clan Cappello per riportare la calma
«Questa giornata la devono piangere a lacrime di sangue». La giornata cui fa riferimento un infuriato Vincenzo Guglielmino – detto zio Nino – è quella del 16 giugno del 2016. Quando furono incendiati quattro mezzi della Ef Servizi Ecologici all’interno di un deposito in contrada Santa Venerina nel Comune di Avola dove la ditta si occupava di raccogliere i rifiuti. Appena una settimana dopo, uno dei responsabili della ditta, contattato da MeridioNews, aveva sottolineato di non riuscire a collegare questi episodi «a niente che abbia potuto causarli, tanto che ci sembra strano che si parli di atti intimidatori».
E invece, l’amministratore della Ef, Vincenzo Guglielmino, accusato di associazione mafiosa in quanto ritenuto appartenente al clan Cappello-Carateddi, turbata libertà di scelta del contraente e corruzione un’idea sulle motivazioni di questi fatti ce l’avrebbe avuta già all’epoca. Stando a quanto emerge da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali registrate durante le attività di indagine. In particolare, in una conversazione del 27 maggio del 2016 con Raffaele Scalia, detto Ele, e Carambia Salvatore inteso Turi u Turcu (entrambi arrestati ieri con l’accusa di associazione mafiosa), Guglielmino riferiva di essere stato minacciato da tale Paolo Zuppardo che lo accusava degli anni di carcere che aveva scontato a causa sua. «Lui – raccontava Guglielmino – è uno di quelli che mi sparato». E che adesso alzava il tiro, vantandosi di non aver paure neanche dei clan catanesi. «Non sta prendendo neanche in considerazione Catania», riferiva Scalia. «Ma tu non devi dirlo a me gioia, glielo devi dire a loro, che mi racconti a me. Non è che posso difendere io a Massimo, è Massimo che deve difendere me», rispondeva Guglielmino facendo riferimento a Massimiliano Salvo, considerato il vertice del clan Cappello a Catania.
La discussione sul contrasto fra Guglielmino e Zuppardo prosegue proprio durante la conversazione del 16 giugno registrata all’interno dell’autovettura di Guglielmino che parla con Raffaele Scalia. «Questa mattina tre sono, un Daily, un Mitsubischi e un Nissan», Guglielmino fa riferimento ai tre mezzi di lavoro incendiati ad Avola «e ora – continua – mi spavento che i carabinieri lo sanno e hanno fatto la denuncia che c’è stato l’incendio. Io non vorrei che ci fosse qualcuno che gli dica che ieri ho litigato […] perché non è che lui mi ha chiesto qualcosa». Sa che a quei veicoli depositati in contrada Santa Venerina è stato dato fuoco. «È stato lui, ora ho capito che è stato lui perché anche la volta scorsa avevamo avuto un’altra litigata e la sera mi ha bruciato il camion». Lui è Paolo Zuppardo e il motivo sarebbe la richiesta di un’assunzione nella ditta.
Nella seconda parte della conversazione, i due indagati si accordano sulle cose da riferire a Massimiliano Salvo, (lo stesso del caso della candelora nella festa di Sant’Agata del 2015) che avrebbero incontrato nei capannoni della Ef per discutere in merito alla necessità di intraprendere un’azione di forza contro Zuppardo per i fatti successi ad Avola. «Ci vanno due o tre persone – progetta Guglielmino -, lo prendono dal bar e lo devono lasciare a terra in mezzo alla strada in modo che tutti lo vedano e dicano “guarda, lo hanno gonfiato quanto un pallone“. Tanto ad Avola non arrestano nessuno». I tre parlano di ciò che Zuppardo potrebbe fare all’interno del comune di Avola «visto che ha avuto libero accesso». Al punto da malmenare violentemente un geometra responsabile dei servizi ambientali dell’ente avolese che non aveva sporto denuncia perché ne era intimorito.
Un’interferenza sempre più invadente e fastidiosa per Guglielmino, non abituato ad avere bastoni tra le ruote anche nel territorio Siracusano. È lui stesso che, parlando con un sodale, si vanta dei buoni rapporti che tiene a Noto con il clan Trigila, «con Angelo Monaco (arrestato lo scorso giugno, ndr) – dice l’imprenditore – siamo come fratelli». La spedizione punitiva nei confronti di Zuppardo prende quindi forma. Il 18 giugno in un’intercettazione i catanesi parlano di «scendere ad Avola un paio di giorni per ‘ntuppare u surci na lattera» (mettere il topo in trappola, ndr). Nel frattempo, la notte del 21 giugno del 2016, un nuovo attentato incendiario danneggia altri tre automezzi di proprietà di Guglielmino parcheggiati sempre all’interno dello stesso deposito. È a questo punto che decidono di «bussare alla porta e bum bum». Raffaele Scalia precisa che lo ammazzerà lui personalmente. Ma a Zuppardo non succede nulla: a riportare la pax, appena dieci giorni dopo, ci pensa Massimiliano Salvo.