Palermo. Una parola macerata, come il lino, quando i vecchi lo facevano sciogliere nelle pozzanghere dei fiumi, riducendolo in poltiglia. Il nome di una città messa lì sulla carta geografica della sicilia, per dire tutto e il contrario di tutto. Forse che sta morendo con tutti i corvi neri che vi girano attorno e sopra. Come sulle carogne. Ma le carcasse non sono i palermitani ma quei quattro caporaletti che si dànno arie da generali per fingere di dare lustro a quel luogo che essi stessi hanno ridotto a porcile. Ora non possiamo più neanche dire che palermo vuole essere laboratorio per la costruzione del futuro. Al contrario, è ormai provato, è un luogo in cui questo è reso impossibile.