Augusta, il governo Renzi conferma il no all’hotspot «Interferisce con terminal container e linea per Malta»

«A noi i fatti, con risposte scritte, che dimostrano l’impegno e la concretezza nella risoluzione dei problemi». Con questo commento affidato ai social network, due giorni fa la sindaca di Augusta, Cettina Di Pietro, ha accolto la scelta del governo Renzi di abbandonare definitivamente il progetto di un hotspot per migranti che avrebbe dovuto essere ospitato all’interno del porto megarese. Sempre contrarie all’hotspot, ma di tono diverso, sono le osservazioni che arrivano da Enzo Parisi, presidente di Legambiente Sicilia. «Le opposizioni istituzionali all’hotspot invece di denunciare la gravità di un centro d’identificazione ed espulsione, contrario al dovere di dare ospitalità, si sono incentrate sul fatto che veniva situato all’interno dell’area portuale – dichiara – C’è una volontà di tenere lontani i migranti, come se fossero una minaccia».

Nel settembre dello scorso anno, in attuazione delle direttive dell’Unione europea, il governo italiano sceglieva Augusta – accanto a Pozzallo, Lampedusa, Porto Empedocle, Trapani e Taranto – come sede di uno dei sei hotspot, definiti «aree di sbarco attrezzate per la pre-identificazione, il soccorso sanitario, la registrazione e il fotosegnalamento degli ingressi» considerati «illegali». «L’hotspot svilisce le ambizioni del nostro porto, soprattutto dopo la conferma che Augusta sarà sede di Autorità di Sistema portuale» era la reazione della sindaca Di Pietro che paventava anche il «rischio per la sicurezza non solo dei cittadini di Augusta, ma di tutto il paese». Preoccupazioni subito fatte proprie in un’interrogazione parlamentare dal deputato Luigi Di Maio.

«Le sollevazioni sono state dirette contro il pericolo che gli immigrati avrebbero costituito per la sicurezza e le operazioni portuali – commenta Parisi – Contro gli hotspot, il fenomeno migratorio andrebbe integrato nella realtà di questo territorio all’interno di una prospettiva di sviluppo che guardi ai bisogni delle persone». A febbraio il centro programmato ad Augusta è stato interessato anche dalle indagini della Procura di Siracusa per sospette irregolarità nell’iter amministrativo relativo alla gara d’appalto comunitaria. Un’inchiesta giudiziaria conclusasi il 17 marzo con una richiesta di archiviazione del Gip, ma che allora aveva indotto il ministero degli Interni alla sospensione cautelare della procedura.

Adesso, dopo le proteste, da Roma fanno sapere di aver definitivamente abbandonato il progetto. «Si è preso atto, infatti, che la realizzazione di una tensostruttura attrezzata, da ubicare nell’area di sedime portuale, avrebbe potuto interferire con il terminal-container in corso di realizzazione e con le infrastrutture di servizio alla nuova linea marittima di collegamento con Malta», si legge nella risposta scritta a Di Maio firmata dal sottosegretario di Stato Domenico Manzione.

Nel frattempo ad Augusta proseguono gli sbarchi. L’ultima nave della Marina militare è giunta in porto sabato con a bordo 698 migranti soccorsi. Mentre tra domenico e lunedì è atteso anche l’arrivo del peschereccio affondato nel canale di Sicilia il 18 aprile 2015. Il relitto è stato agganciato ieri. Da adesso dovrebbero servire circa 25 ore per portarlo a galla e altri tre giorni di navigazione per raggiungere Augusta. Ma i tempi sono subordinati alle condizioni del mare. Durante le prime operazioni sono già state recuperate due salme. «Un’operazione blindata» l’hanno definita gli attivisti della Rete antirazzista catanese che denunciano la scelta di «tenere a debita distanza i cittadini nascondendo il peschereccio, e i corpi in esso imprigionati, dentro gli spazi off-limits della base militare della Nato».

«Anziché condividere tutti uniti i problemi e i lutti, terremo queste povere vittime lontane dagli occhi e dal cuore», aggiunge Parisi. Per il quale i cittadini «anziché essere un ponte tra due parti del mondo» sono costretti a restare «i testimoni passivi di ciò che accade, non essendo protagonisti di nulla. E questo – conclude – è un ulteriore impoverimento della nostra umanità e della nostra cultura».


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