Il lavoro dell'Antimafia incrocia il filone di indagini ancora aperto sul finanziamento illecito a Crocetta e sull'occupazione dell'assessorato alle Attività Produttive da parte di Sicindustria. Un'operazione in cui avrebbe avuto un ruolo chiave l'evento del 2015
Expo Milano, il business affidato dalla Regione a Montante Il dirigente: «Solo dopo pensai ai possibili fini clientelari»
La relazione della commissione Antimafia sul sistema Montante incrocia il filone di indagine della Dda di Caltanissetta ancora aperto: quello che coinvolge i politici e che ipotizza il finanziamento illecito a Rosario Crocetta da parte dell’ex numero uno di Sicindustria e degli industriali a lui più vicini. Lo scorso ottobre gli agenti della squadra mobile hanno sequestrato atti e documenti nella sede dell’assessorato regionale alle Attività produttive e poche settimane fa la Procura nissena guidata da Amedeo Bertone ha chiesto una proroga per proseguire gli approfondimenti. Secondo l’accusa, a fronte di un milione di euro a sostegno della campagna elettorale dell’ex presidente della Regione, Confindustria avrebbe avuto campo libero alle Attività produttive, occupandolo con due sue donne: prima Linda Vancheri e poi Mariella Lo Bello (prima ancora, sotto il governo Lombardo, quella casella era stata occupata da Marco Venturi, passato da fedelissimo a grande accusatore di Montante). Cosa ha prodotto questa occupazione? È quello che stanno cercando di ricostruire gli investigatori. E il lavoro della commissione aggiunge alcuni elementi interessanti sul controllo che Montante ha esercitato sui dirigenti regionali e sugli affati legati all’Expo di Milano del 2015.
Per l’esposizione universale, la Regione affida a Unioncamere un capitolo di spesa di due milioni di euro per curare la partecipazione delle imprese siciliane all’evento. Un incarico diretto, figlio di un protocollo d’intesa firmato il 22 luglio del 2014 tra Montante, presidente di Unioncamere, e Vancheri, assessora alle Attività Produttive, nonché ex dipendente di Confindustria e, per i magistrati di Caltanissetta, «totalmente accondiscente» alle direttive di Montante. Su questo accordo è stato sentito in commissione Antimafia l’ex dirigente generale Alessandro Ferrara, pure lui imputato nel processo di Caltanissetta per favoreggiamento. «Questa operazione – chiede il presidente Claudio Fava – non suscitò qualche perplessità?». «Quell’accordo lasciava il tempo che trovava…», replica. Incalzato dal deputato sui controlli messi in campo dalla Regione, il funzionario ricorda «il parere preventivo della Corte dei conti, poi durante l’attuazione del programma c’è il controllo di primo livello, cosiddetto unità di monitoraggio, successivamente c’è l’audit che è il controllo le spese». E sottolinea che «la selezione delle imprese avvenne su loro individuazione, con un loro criterio, un loro bando pubblico e lo stesso dicasi per affidamenti di incarichi di consulenza».
Ed è proprio sulle consulenze esterne che l’Antimafia accende un faro. «Una media di quasi 500 euro al giorno per i consulenti, intorno a 300mila euro di spesa, mentre ad esempio per il cluster che fu gestito dall’assessorato all’Agricoltura la spesa fu enormemente inferiore, non superiore a 70 euro al giorno». Incarichi affidati senza «procedure comparative, adeguatamente disciplinate e rese pubbliche» come invece avrebbe previsto la normativa. Su tutto la commissione riscontra «una persistente ingerenza degli organi direttivi di Unioncamere (Montante, ndr) sull’attività amministrativa dei dirigenti», competenze che invece sarebbero dovute rimanere separate. Ne sono prova «l’inserimento del vicepresidente di Unioncamere nel Comitato di gestione e controllo» e l’assegnazione al presidente Montante dell’incarico di coordinatore generale del progetto e di guida della commissione per la selezione dei collaboratori esterni. Scelte «in contrasto sia con i principi generali sanciti dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale in materia di pubblico impiego e di prevenzione della corruzione, sia con lo Statuto di Unioncamere Sicilia».
Montante avrebbe indicato gli uomini che si dovevano occupare della selezione per Expo. Come Vittorio Messina, vice presidente di Unioncamere e, al tempo stesso, beneficiario da parte della stessa Unioncamere (per un compenso di 22mila euro) dell’incarico di coordinatore generale per la realizzazione del progetto Your Gate to Sicilian Excellence all’Expo. Solo su questa nomina il dirigente Ferrara, sollecitato sempre da Fava, sostiene di essersi reso conto del conflitto d’interessi. «A Messina – risponde in commissione – ci rifiutammo di pagare il compenso (…) Il dirigente del servizio mi venne a dire: “Ma qua c’è Messina che ha un conflitto di interessi mostruoso”. Questo Messina non si può pagare».
Altro uomo di Montante sarebbe il geometra Vincenzo Vitale, dirigente della Regione Sicilia che era stato chiamato da Vancheri a far parte dell’ufficio di gabinetto dell’assessorato e aveva anche curato i finanziamenti erogati per la partecipazione a Expo. Vitale sarebbe stato scelto da Montante su segnalazione del cognato, l’allora direttore di Panorama Giorgio Mulè (giornalista nisseno che ricorre più volte nell’ordinanza della Dda per i rapporti confidenziali con Montante). «Perché – chiede Fava a Vitale, convocato in commissione – Montante avrebbe proposto alla Vancheri proprio il suo nome? Parlo del presidente di Confindustria Sicilia, che alza il telefono e dice all’assessore: “Il signor Vitale vorrei che fosse utilizzato in questa mansione”. Perché?». «Tutte le persone che compongono gli uffici di gabinetto, anche gli attuali, sono persone segnalate – risponde – Che poi si chiami presidente della Fiat o un altro… […] Mi sarebbe piaciuto continuare a fare un’esperienza di gabinetto, è una richiesta che ha fatto mio cognato […] e quindi si sarà attivato».
Tra le aziende selezionate per Expo da Unioncamere con due avvisi pubblici, c’è anche l’Antico Torronificio Nisseno, società riconducibile proprio a Montante. «Un avviso per la presenza di prodotti tipici a Milano e l’altra per esposizione delle specialità in quattro aree archeologiche», chiarisce la commissione. Circostanza su cui viene chiesto conto ancora all’ex dirigente generale alle Attività produttive Ferrara. «Onestamente mai saputo. Perché può anche darsi che l’Antico Torronificio Nisseno, che io non conosco nemmeno come qualità perché preferisco altri tipi di torroni, avesse partecipato, cioè gli elenchi venivano inviati al dirigente del servizio internalizzazione che esaminava la regolarità o meno della selezione avvenuta». Secondo il funzionario, in generale, dell’enorme rischio di conflitto di interessi dietro l’operazione Ferrara si sarebbe accorto solo dopo. «Sì – risponde Ferrara – ex post ho pensato che avessero usato quello strumento anche per agire clientelarmente, non politicamente».