Il regista o solo un pezzo di un disegno più ampio? Per cinque mesi il giornalista Paolo Mondani, autore della puntata andata in onda ieri sera, ha cercato di rispondere a questa domanda sull'ex numero uno di Confindustria. Il suo racconto a MeridioNews
Sistema Montante su Report, all’origine dell’inchiesta L’intervista: dai servizi segreti all’antimafia distrutta
«La sensazione è che il fenomeno Montante, quest’antimafia di comodo, non sia stato solo una produzione nissena. Ma che sia stato un metodo che ha coinvolto uomini dello Stato e Confindustria. Montante è stato un uomo forte a livello nazionale». Per cinque mesi il giornalista Paolo Mondani, con la collaborazione di Norma Ferrara, ha girato la Sicilia per ricostruire tutti i passaggi del presunto sistema di corruzione e spionaggio messo in piedi dall’ex numero uno di Confindustria regionale scoperto dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. E alla fine il colpo di scena, il passo in più anche rispetto al lavoro dei magistrati, non avviene sull’isola, ma a Roma. Ed è il possibile legame con Banca Nuova, «creata dai servizi e diventata una centrale informativa», secondo la ricostruzione di un super testimone, un ex manager interno all’istituto. L’inchiesta giornalistica è andata in onda ieri sera su Report.
Mondani, come nasce il legame con Banca Nuova?
«Mi sono reso conto che molti degli uomini indagati nell’inchiesta Montante da metà anni 2000 giravano intorno a Banca Nuova. Non solo per interessi personali, ma politici e finanziari. Da questa riflessione siamo partiti per capire se effettivamente poteva esserci un legame, abbiamo incontrato altri testimoni che non sono rivelabili e che non sono comparsi nella video inchiesta. Secondo l’ex manager, Banca Nuova era diventata una centrale informativa. E forse sta lì la genesi di una parte del meccanismo che rende forte Montante. Che avrebbe semplicemente ereditato un meccanismo già oliato in passato. È un’antica vicenda italiana con molti precedenti, solo che la memoria corta del paese lo dimentica».
Secondo questa tesi, Montante non sarebbe quindi un regista, ma solo un pezzo di un sistema molto più ampio.
«Quello che è certo è che questa storia ha distrutto la credibilità dell’antimafia. La domanda delle domande è: dietro lo spionaggio di Montante ci sono solo le attività di un’associazione industriale regionale, o invece strutture più importanti hanno sfruttato la forza e la capacità di penetrazione che Montante esercitava su una rete di consenso fatta anche di magistrati? Chi è stato ricattato con quelle carte? Ci sono ricatti ancora in corso? Chi sono i dante causa che tramite Montante hanno modificato l’antimafia? O forse assetti istituzionali? O hanno indirizzato indagini?».
Rosario Crocetta – indagato nell’inchiesta – parlando con lei dice: «Ero convinto che Montante fosse un uomo dei servizi». Alla fine è stato il più lucido?
«Non lo so, dell’intervista a Crocetta è andata in onda solo qualche battuta e lui in generale difende Montante. È comunque evidente che per due mandati, quelli di Lombardo e Crocetta, Montante abbia avuto un ruolo determinante alla Regione, non solo indicando suoi rappresentanti nel governo, ma come vero ispiratore dell’azione politica».
Secondo lei, quanto hanno pesato in questa vicenda i rapporti tra Montante e alcuni magistrati amici?
«Sono stati determinanti per la costruzione di un’antimafia di comodo. Non c’è dubbio che alcuni magistrati si siano attaccati all’Antimafia di Confindustria sperando che fosse autentica. D’altronde era la prima volta che un gruppo di imprenditori in Sicilia sembrava deciso a ribellarsi alla mafia. Ma a un attento osservatore dei fatti siciliani dovevano venire dei dubbi. Sia magistrati che giornalisti avrebbero dovuto vedere prima. Poi ci sono anche giornalisti e qualche magistrato che hanno preferito non vedere. Ma io sono convinto che, più che sul versante penale, le responsabilità siano da cercare anche su quello culturale e politico».
In che senso?
«Per dieci anni lo Stato ha fatto antimafia tramite Confindustria. Non c’è normativa antimafia che non sia stata influenzata da Confindustria. Gli industriali, in pieno conflitto di interessi, tramite i protocolli di legalità, hanno contribuito a definire le certificazioni antimafia e le white list delle Prefetture. Va benissimo il rating di legalità, ma com’è possibile lasciare che Confindustria influenzi chi può ricevere fondi statali e crediti agevolati?».
Tra le politiche influenzate c’è sicuramente quella sulla gestione dei beni confiscati. Montante è stato nel consiglio direttivo dell’Agenzia dal dicembre 2014.
«E c’è arrivato con l’appoggio di Alfano, all’epoca ministro dell’Interno. A febbraio 2015 Attilio Bolzoni rivela su Repubblica l’esistenza dell’indagine per concorso esterno su Montante. Due mesi prima Alfano inserisce Montante nell’Agenzia beni confiscati. È possibile che proprio il ministro dell’Interno non sapesse che a Caltanissetta c’erano pentiti che stavano parlando di Montante? Era opportuna quella nomina? O era un modo per legittimarlo ulteriormente proprio sotto indagine?».
Nell’Agenzia Montante porta avanti la linea di apertura alla vendita dei beni confiscati ai privati. La stessa misura inserita dall’attuale governo nel decreto sicurezza.
«Questa cosa è scandalosa e va bloccata, anche per non dare la sensazione che una trattativa tra mafia e Stato in realtà continui».
Lei crede che oggi sia cambiato qualcosa nel mondo dell’Antimafia?
«No, non penso che ci siano sufficienti anticorpi nel nostro Paese per combattere questo veleno dal sapore dolce che ha devastato l’antimafia. Ci sono tante persone per bene che sono il sale dell’antimafia, ma c’è una parte dello Stato e di Confindustria che hanno giocato sporco, ed è inquietante. Dall’altra parte però c’è il grande lavoro che stanno portando avanti la magistratura e la squadra mobile di Caltanissetta. Un lavoro controcorrente».
Da dove dovrebbe ripartire l’Antimafia?
«Il punto fondamentale è riflettere su cosa sia diventata oggi la mafia siciliana e quale sia il rapporto con le istituzioni. Viviamo nel ricordo e nella consapevolezza delle stragi, ma non sappiamo cosa sia davvero oggi Cosa Nostra, i rapporti con colletti bianchi molto importanti. L’antimafia buona deve identificare tutti coloro e tutti quei fatti della falsa antimafia. C’è qualcun altro che ha usato la stessa strategia di Montante? Quanti altri falsi paladini dell’antimafia ci sono in circolazione? Solo l’antimafia sociale può tirarci fuori da questa situazione, a patto che ricominci a leggere le carte, a fare battaglie più radicali e a essere meno consociativa con lo Stato».