Il 39enne nipote di Nitto Santapaola è al centro anche dell'inchiesta Beta 2. I magistrati svelano la rosa di prestanome di cui si sarebbe avvalso. Tra riunioni in studi legali nella Capitale e tentativi di guadagnare anche con la lotta alla ludopatia
Mafia, le mani di Enzo Romeo sui centri scommesse Soldi da ‘Ndrangheta e pugliesi per vincere il bando
«Purtroppo in questo settore c’è un po’ di infiltrazione mafiosa. A Trapani lo ha il nipote di Matteo (Messina Denaro, ndr), là ce l’hanno quelli, i Graviano, quello là per dire Totò Riina, la figlia di Lo Piccolo aveva il tabacchino». E poi, bisognerebbe aggiungere, a Messina c’erano i Romeo. Cognome che rispetto a quelli citati potrebbe non dire molto, ma che in realtà fa rima con Santapaola. Perché Enzo, Benedetto e Maurizio del sanguinario Nitto sono nipoti diretti, in quanto figli di Concetta, sorella del boss etneo.
A parlare, senza sapere di essere ascoltato dai carabinieri, è il primo, il più grande dei tre. Insieme a Benedetto è stato di recente condannato nel processo nato dall’operazione Beta, mentre con Maurizio due giorni fa è finito nel secondo capitolo dell’omonima inchiesta antimafia. D’altronde, per i magistrati della Dda di Messina, un fatto è certo: Vincenzo Romeo è il vertice del clan che, forte della parentela eccellente all’ombra del liotru, ha saputo ritagliarsi il proprio spazio nella città dello Stretto. Con la capacità di estendere il proprio raggio d’azione ben oltre i confini che tradizionalmente caratterizzano la spartizione del territorio da parte delle cosche. Il pensiero di Romeo, infatti, sarebbe stato fisso sugli affari. Specialmente quelli che viaggiano sulla rete, come le scommesse sportive.
Per riuscirci il 39enne avrebbe fatto affidamento su una serie di prestanomi. Figure come Giovanni Marano e Michele Spina – entrambi arrestati – che avrebbero messo a disposizione la propria figura per schermare la regia di Cosa nostra. Marano, nell’ordinanza del gip Salvatore Mastroeni, compare soprattutto come interfaccia per il business legato alle slot – sia autorizzate che illegali – da cui Romeo avrebbe ricavato cospicui guadagni. Le macchinette di Marano – al quale è riconducibile la società Bet srl, di cui il tribunale ha disposto il sequestro – in un caso sarebbero state piazzate in una sala bingo di Catania. «Io prendevo una percentuale di gestione e gli mandavo i ragazzi», racconta Romeo a Biagio Grasso, imprenditore oggi collaboratore di giustizia ma fino all’anno scorso tra le figure su cui il nipote di Santapaola faceva più affidamento.
Con Grasso, Romeo parla molto. Dai loro dialoghi emergono spaccati rappresentativi di come il 39enne avrebbe gestito il potere criminale. Come nel caso del rapporto intrattenuto con Spina. Quarantaseienne di origini acesi, Spina appare un self made man attorno alla cui ascesa – partita da una piccola agenzia di scommesse – c’è però più di qualche ombra. In ciò ricorda lo zio Sebastiano Scuto, il re dei supermercati di San Giovanni la Punta condannato per mafia in secondo grado per i legami con il clan Laudani. Verso Spina, Romeo avrebbe avuto comportamenti diversi. Si passa da un approccio quasi protettivo, come quando Romeo trova il modo di coprire i debiti contratti da Spina, anche a costo di rivolgersi ai cugini catanesi senza rivelare il vero motivo del prestito, ad atti violenti e plateali. In un caso è lo stesso Spina a raccontare a Grasso di essere stato schiaffeggiato in pubblico. «Io ci sono rimasto, perché con lui mi sono comportato sempre bene. Mi sono messo sempre a disposizione», dice Spina. Romeo l’avrebbe pensata in maniera diversa: «Sono dovuto andare da mio fratello piccolo per portargli i soldi a quelli, tipo che li aveva mandati Michele Spina perché altrimenti gli tagliavano la testa, e non gli devo dare almeno uno schiaffo?».
L’episodio che più rappresenta la vicinanza tra i due è la storia legata al bando che, nel 2006, riguardò la concessione dei centri scommesse. Spina partecipò con la società Primal srl, aggiudicandosi i diritti su 24 sale e 71 corner. Dietro la società ci sarebbe stato Romeo, ma non solo: il rampollo della consorteria mafiosa messinese avrebbe infatti chiesto a persone appartenenti alla Sacra corona unita e alla ‘Ndrangheta di finanziare il progetto e mettere così in condizione Spina di partecipare al bando. «Aveva necessità di ingenti somme di denaro che Romeo – dichiara Grasso ai magistrati – attraverso i suoi canali riconducibili alla criminalità organizzata pugliese e calabrese riuscì a raccogliere». Sarebbero stati all’incirca tre milioni, a cui Spina ne aggiunse altri nove per poi versarli al ministero delle Finanze. Parte della somma sarebbe stata messa a disposizione da una serie di società partner che però, secondo la guardia di finanza, non avevano requisiti di affidabilità sia perché legate a soggetti con precedenti di polizia sia perché privi di fatturati adeguati.
Tali rilievi hanno portato a lunga querelle giudiziaria, fino alla decadenza delle concessioni. Lo stop avrebbe spinto gli originari finanziatori di Primal a pretendere di riavere le somme investite. Ed è qui che Romeo sarebbe nuovamente entrato in gioco. Stando al racconto dello stesso nipote di Santapaola a sua volta confermato da Grasso ai magistrati, Spina un giorno avrebbe chiesto a Romeo di prendere parte a una riunione che si sarebbe tenuta nello studio di un avvocato romano. Romeo accetta e parte per la Capitale. Senza sapere cosa lo aspetta. «Salgo e vedo un mare di cristiani – racconta a Grasso -. Una sala riunioni senza esagerare di qui sino al palo e un tavolo largo cinque metri». L’incontro inizia e presto la tensione diventa alta. A un certo punto Spina, pressato dagli interlocutori, avrebbe annunciato di avere venduto la società. E alla domanda su chi fosse l’acquirente avrebbe risposto, voltandosi verso Romeo: «Lui». Il presunto capomafia, dopo un attimo di sorpresa, avrebbe retto il proprio ruolo anche grazie al riconoscimento del legame di sangue da parte di uno dei presenti: «Vedi che lui è Tizio, nipote di Caio», riassume Romeo a Grasso. Il riferimento al potere di Nitto Santapaola avrebbe fatto da calmante. «Mi hanno visto sicuro. Dice: questo qua è venuto a fare discussioni. Perché non è che questo parte dalla Sicilia e viene fino e non gli passa neanche per il cazzo. Film… chi è voluto uscire prima… chi è uscito ha aspettato sono usciti, sono scappati prima».
Il soccorso di Romeo avrebbe fatto da garanzia alle aspettative dei presenti, lasciando a Spina un unico debito da saldare da circa 350mila euro, proprio nei confronti del proprio referente mafioso. In questo contesto è da inserire quella che probabilmente è l’operazione più creativa tentata dall’imprenditore catanese: riuscire a ottenere un finanziamento da 800mila euro, di cui la metà a fondo perduto, per un progetto contro la ludopatia che in realtà sarebbe costato al massimo 150mila euro. Per riuscirci l’imprenditore avrebbe fatto affidamento su un collaboratore dei parlamentari alla Camera dei deputati: Sergio Chillè. Milazzese con un passato legato prima ad Alleanza nazionale, poi al Pdl e infine al Nuovo centrodestra, è indagato per traffico di influenze illecite. Per i magistrati avrebbe promesso a Spina e gli altri, in cambio di una tangente, una corsia preferenziale in sede di valutazione del progetto gestito da Invitalia. Di questa storia Grasso ammette di non conoscere la fine, ma tanto basta a rendere la misura della ecletticità che avrebbe contraddistinto Romeo e soci.