Ai domiciliari Alessandro Panella, ex caporal maggiore che voleva prendere la cittadinanza Usa, e di altri due commilitoni del paracadutista siracusano. Indagini basate su intercettazioni ambientali e microspie. La Procura: «C'era il tempo per salvare Lele»
Caso Scieri, un arresto e due indagati per omicidio «Se mi incastrano, mi sa che ci muoio in carcere»
«Se stavolta riescono a incastrarmi, mi sa che ci muoio in carcere». Parlava così, intercettato, Alessandro Panella, l’ex caporal maggiore della Folgore arrestato ieri con l’accusa di concorso in omicidio volontario per la morte del militare siracusano Emanuele Scieri, avvenuta il 13 agosto del 1999 alla Caserma Gamerra di Pisa, al culmine «di un’aggressione violenta mascherata da atto di nonnismo». Per evitare di essere incastrato e morire in carcere, Panella – che nel 1999 prestava servizio in ferma prolungata nelle stessa brigata di paracadutisti di Scieri con il grado di caporale – stava organizzando un viaggio per tornare negli Stati Uniti, dove aveva deciso di prendere la cittadinanza americana nel tentativo di sottrarsi alla giustizia. Una giustizia che, adesso, comincia ad arrivare dopo 19 anni. Oltre a lui, infatti, ci sono altri due indagati entrambi militari, uno di Rimini e uno romano, commilitoni di Scieri.
Di questo progetto il militare conversa tranquillamente con i propri familiari mentre non sa di essere intercettato, anche all’interno degli uffici della procura lo scorso 26 luglio. «Alessandro – dice il padre – l’importante è che tu riesca a partire». E il fratello aggiunge: «Vagliela poi a notificare la roba, gli do un indirizzo sbagliato». E ancora, lo stesso militare – che da oltre dieci anni vive e lavora negli Usa, dove si è laureato in Economia e dove lavora come interprete per una società privata – confessa al padre: «Me stai a chiarì le idee papà, mi chiarisce le idee su quello che voglio fà, ‘ndo voglio stà. Io per esempio prima avevo il dubbio di rimanere in Italia ora non ce l’ho più. Rinuncio alla cittadinanza e appena arrivo in Usa lo comunico al consolato».
Sono queste parole a convincere il giudice per le indagini preliminare Giulio Cesare Cipolletta a chiedere per l’indagato gli arresti domiciliari. «Stava per lasciare il territorio nazionale e sarebbe stato complicato riportarcelo», afferma il procuratore capo di Pisa. Il biglietto Roma-Chicago sola andata era proprio per oggi, 3 agosto, con successivo volo interno per San Diego (in California), dove Panella già vive e lavora da oltre dieci anni come interprete per una società privata. Negli Stati Uniti l’ex caporale si è laureato in Economia dopo aver lasciato l’esercito a conclusione dell’anno di servizio di leva nella Folgore.
Intercettazioni ambientali e microspie all’interno delle auto di Panella e dei suoi familiari. In una conversazione intercettata lo scorso 30 maggio è la madre di Panella a parlare con il marito della vicenda Scieri. La donna si sente rassicurata dal fatto che il figlio fosse andato a casa a Cerveteri (località in provincia di Roma di cui è originario) il 14 agosto del 1999. Una serenità mal riposta derivante dall’errore di aver collocato la morte del parà siracusano nel giorno di Ferragosto. In un colloquio successivo è proprio l’indagato, però, a smentire la ricostruzione sbagliata della madre chiarendo che Scieri è morto durante la notte fra il 13 e il 14, quando cioè lui si trovava ancora a Pisa. «Cosa possono provare gli anfibi?», chiede il fratello in un dialogo captato dalla microspia sulla macchina durante il tragitto per andare all’interrogatorio in cui poi l’indagato si è avvalso delle facoltà di non rispondere. «Gli anfibi sequestrati – precisa Panella parlando degli stivali dati in dotazione dalla Folgore – sono quelli nuovi, mai indossati. Quelli vecchi li ho buttati via una settimana fa». La preoccupazione dell’indagato è piuttosto l’ipotesi che «attraverso la riesumazione del cadavere vengano recuperate tracce biologiche della vittima». La conversazione fra i due fratelli prosegue parlando dettagliatamente della morte procurata a Scieri «preso a calci».
«Abbiamo ritenuto di accertare la permanenza in vita di Scieri e siamo arrivati alla conclusione che ci fosse il tempo per soccorrere Emanuele e, per questo – dice il procuratore di Pisa, Alessandro Crini – contestiamo l’omicidio volontario, proprio perché il giovane è stato lasciato agonizzante a terra. Questa dinamica – aggiunge – non è una nostra congettura, ma è ricavata dai vecchi accertamenti attualizzati con quelli peritali effettuati dalla commissione parlamentare».
Presieduta dall’ex parlamentare Sofia Amoddio, la commissione d’inchiesta per due anni ha lavorato per ricostruire il caso scoprendo dettagli sul clima generale che regnava nella caserma Gamerra, evidenziando la natura delle pratiche, il tipo di relazioni tra anziani e reclute, il ruolo dei caporali e l’atteggiamento e la mentalità dei militari, ma anche le incongruenze nelle indagini dell’epoca, fino ad arrivare alla riapertura delle indagini da parte della procura di Pisa. «È sempre un grande giorno quando le ombre si diradano e si comincia a intravedere la luce – dichiara Amodio – l’omicidio di Emanuele Scieri è stato e continua a essere una delle pagine più buie della nostra storia repubblicana, ma forse finalmente, potrà essere stracciata. L’ex commilitone arrestato – aggiunge – era uno dei soggetti che la commissione aveva indicato negli atti secretati. Il suo arresto – conclude la presidente – dimostra la presenza di elementi forti che dovranno vagliarsi in un processo futuro».
«Abbiamo abbattuto un muro di omertà alto 19 anni». Sono queste le prime parole commosse di Carlo Garozzo, storico amico e uno dei fondatori del comitato Verità e giustizia per Lele «Quel muro lo abbiamo preso a sassate, a spallate, ci abbiamo lasciato sopra le nostre unghie. È su quel muro – continua – che abbiamo anche pianto, sognato, sperato e immaginato. Abbiamo imparato a scalarlo anno dopo anno. Adesso siamo arrivati a questo punto che è solo un inizio, attendiamo gli sviluppi – conclude – perché abbiamo imparato ad attendere senza arrenderci».