Regionali, l’impegno del clan di Avola per Gennuso «È il santo nostro, sta uscendo 50 euro a persona»

«Il Santo nostro: Pippo Gennuso, la famiglia Crapula-Zu Pippo». Ciccio Giamblanco, genero del capomafia di Avola al 41bis Michele Crapula, è soddisfatto. Le elezioni Regionali dello scorso novembre avrebbero visto in prima linea la famiglia di Cosa nostra, impegnata sul territorio a cercare voti per il politico di Rosolini, poi eletto all’Assemblea regionale siciliana nella lista Popolari e Autonomisti, a sostegno del governatore Nello Musumeci. Gennuso è stato il più votato in provincia di Siracusa nella sua lista, con 6.567 voti. Di cui 424 ottenuti ad Avola. Ed è su queste preferenze che si è concentrata l’attenzione della direzione distrettuale antimafia di Catania. Gennuso avrebbe pagato 50 euro a voto

«Noialtri stiamo facendo la base, lo sai come la stiamo facendo? Cinquanta euro, no? A famiglia! Quanti sono? Cinquanta euro lui sta uscendo, la base nostra 50 euro a persona». A parlare è Massimo Rubino, arrestato ieri insieme a Gennuso per voto di scambio politico mafioso. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Catania che ha coordinato le indagini, sarebbe stato lui il mediatore tra Gennuso e il clan Crapula. E in particolare con Francesco Giamblanco. «Abbiamo 400-500 voti – ribadisce quest’ultimo – ma li abbiamo con i fatti. I soldi ci vogliono». Elementi a cui si aggiunge un’altra intercettazione. «Trenta euro li spendi e venti li conservi – dice Delfio Buscemi, il quarto indagato non raggiunto da misura cautelare, ritenuto vicino al clan Crapula – in 500 voti, diecimila vedi che sono serbati». Un calcolo preventivo, indicativo della capacità di mobilitazione della famiglia. Non è stato tuttavia accertato a quanto ammonta il pacchetto di voti realmente ottenuto da Gennuso e quanto il politico alla fine abbia pagato. Elementi che però non cambiano la contestazione, ai fini del reato di voto di scambio basta infatti provare la promessa fatta.

Gennuso è ai domiciliari, così come Rubino. Per il genero di Crapula si sono invece aperte le porte del carcere catanese di Bicocca. L’inchiesta è partita nell’ottobre 2017 e si è protratta fino a dicembre. «Siamo partiti da evidenti segnali di sofferenza nel territorio sud della provincia di Siracusa, in particolare ad Avola, Pachino e Rosolini», ha spiegato il comandante provinciale Luigi Grasso. E sarebbe stato proprio Gennuso ad avviare i contatti con Rubino, nonostante il politico, sottolineano gli investigatori, «fosse pienamente consapevole di avere a che fare con esponenti della criminalità organizzata locale». Anche grazie ad alcuni articoli di stampa, fra cui quelli pubblicati dal giornalista Paolo Borrometi sul suo quotidiano La Spia.it, precedenti ai primi contatti tra Gennuso e Rubino. In quegli articoli, infatti, si evidenzia la vicinanza fra Massimo Rubino e alcuni appartenenti alla famiglia Crapula, come Cristian Crapula e Francesco Giamblanco – rispettivamente figlio e genero di Michele Crapula. In particolare, vengono pubblicate alcune foto che ritraggono i soggetti insieme durante una cena. 

Per i Crapula, per altro, non sarebbe la prima attività di questo tipo. È, infatti, già documentata un’attività analoga svolta in occasione delle elezioni del sindaco e del consiglio comunale di Avola dell’11 giugno del 2017 quando lo stesso clan si sarebbe occupato di procurare voti in favore di Salvatore Guastella. Nella domenica elettorale, sul profilo Facebook di Cristian Crapula, figlio di Michele, era apparso un post: «Spero che tutti quelli che si reputano “AMICI” non ci voltino le spalle perché poi quando avete di bisogno ve li volto io e io le spalle ce l’ho belle larghe che mi sembrano il muro di Berlino». Il testo accompagnava la foto del volantino di un candidato al consiglio comunale di Avola – oggi in carica – Salvatore Guastella, infermiere all’ospedale di Taormina e candidato nella lista Primavera Italia, una delle otto che appoggiavano il sindaco uscente e rieletto con un plebiscito, Luca Cannata. «A Turi Guastella quanti gliene abbiamo raccolto voti? – dice intercettato Giamblanco – e mi sono stato manzo (calmo, ndr) che mi spaventavo». 

Nei tre mesi di indagini sono state effettuate intercettazioni telefoniche e ambientali, ma anche classiche attività di osservazione e pedinamenti. Particolare rilievo hanno avuto i contatti degli indagati su Facebook. In particolare, il deputato pubblica sul suo profilo una foto con Massimo Rubino. Il commento di lui è una emoticon con gli occhi a cuoricino. I due sono amici sul noto social network, così come in rete fra loro sono anche Rubino e diversi appartenenti alla famiglia Crapula, fra cui Desire – la figlia del capomafia e moglie di Francesco Giamblanco. Durante una telefonata in campagna elettorale, Rubino telefona a Gennuso. «Mi sente onorevole? Ma lei stasera è là? Perché c’erano quattro ragazzi di scuola che la vogliono… vi volevo presentare quattro ragazzi di scuola», dice il presunto affiliato al clan. «Ci vediamo lunedì sera a Siracusa», replica il deputato. 

Oltre ai soldi, Gennuso avrebbe promesso posti di lavoro e altre utilità. Tra queste ci sarebbe anche il finanziamento della squadra ciclistica di Giamblanco. «Facciamo i completini Gennuso-Crapula», dice il genero del capomafia intercettato. Inoltre Giamblanco vuole che Gennuso si occupi anche della sistemazione di una strada siracusana notoriamente frequentata da ciclisti in allenamento. «Gli hai telefonato allo zio Pippo? – dice Giamblanco a Rubino – Gli devi dire che ci deve sistemare il Tivoli per tutti i ciclisti». Le indagini si sono protratte anche dopo le elezioni del 5 novembre. Gli investigatori sono presenti, tramite intercettazione ambientale, anche al comizio a Rosolini del 19 novembre, organizzato da Gennuso per ringraziare i suoi elettori. «Ha nesciri i soddi», dice un uomo accanto a Rubino, sfregando indice e pollice nell’atto di chiedere denaro. Richiesta immediatamente zittita dallo stesso Rubino che intima al suo accompagnatore di non gesticolare e non parlare ad alta voce

Durante la conferenza stampa a cui ha preso parte il procuratore capo Carmelo Zuccaro, l’aggiunto Carmelo Petralia ha ricordato i recenti arresti a Pachino per la bomba carta fatta esplodere sull’auto dell’avvocata Adriana Quattropani. «Tasselli che dimostrano come non si debba parlare più di infiltrazione, ma di radicamento dei clan su questi territori del sud della provincia aretusea che destano particolare preoccupazione».

Riceviamo e pubblichiamo dall’onorevole Giuseppe Gennuso e dal suo legale Corrado Di Stefano: Il tribunale del Riesame di Catania, nell’ambito del procedimento penale n 13470/17 RGNR con provvedimento del 17 maggio del 2018, ha totalmente annullato la grave ipotesi accusatoria. 


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