Da tempo sono diventate parti integranti dei programmi dei sindaci, ma i risultati spesso non sono dei migliori. Al centro dovrebbe esserci la rivoluzione del modo di intendere gli spostamenti, ma il rischio è fermarsi agli slogan. «L'Europa guarda alla Sicilia ma noi non ce ne accorgiamo», denuncia la Fiab
Ciclabili in Sicilia, molti spot e pochi collegamenti utili «Con piste isolate, la mobilità alternativa non esiste»
Pochi chilometri, da percorrere magari con accanto auto che sfrecciano incuranti dei limiti di velocità previsti per i centri abitati. Piccoli tratti pagati centinaia di migliaia di euro, ma con la promessa di fare passi avanti negli indici di vivibilità e scalare qualche posizione in quelle classifiche sulla qualità della vita che da sempre vedono le città siciliane indietro rispetto al resto del Paese.
Parliamo di trasporti e di come le piste ciclabili da qualche anno siano diventate parte integrante dei programmi elettorali degli aspiranti sindaci che sposano un approccio green, almeno sulla carta. Come a Catania, dove l’amministrazione guidata da Enzo Bianco ha deciso di ritagliare sul lungomare di Ognina una ciclabile inaugurata non senza polemiche, per i costi e il modo in cui è stata realizzata. Altro percorso, aperto ancor più di recente, è quello che costeggia il litorale di Marina di Ragusa. Opera fortemente voluta dall’amministrazione pentastellata del sindaco Federico Piccitto, che ha superato una fase di sperimentazione, prima di essere completata al costo di 250mila euro. Novità che, per l’assessore al ramo, ha determinato «un calo del traffico e il decongestionamento dei parcheggi». Risultato soltanto vagheggiato ad Acireale, in provincia di Catania, dove la giunta guidata dal primo cittadino Roberto Barbagallo ha risposto alle osservazioni sulla modestia della ciclabile cittadina, sottolineando che almeno è servita a eliminare i parcheggi in doppia fila.
Fare una fotografia esaustiva del panorama regionale in tema di piste ciclabili non è impresa facile. Per la mancanza di cifre aggiornate e dettagliate, e perché il dato quantitativo spesso rischia di fuorviare più che fare chiarezza. Non basta, infatti, apporre un segnale verticale e un po’ di vernice per trasformare un luogo in uno spazio dedicato alla mobilità lenta. «Si tratta di un argomento articolato – commenta Giampaolo Schillaci, referente per la Sicilia della Fiab, la Federazione italiana Amici della bicicletta -. Quando si parla di piste ciclabili, le opinioni si affollano e capita che si perda di vista il vero nocciolo della questione». Ovvero il fatto che, ancora prima che uno svago, dovrebbero essere concepite come mezzo di trasporto e in tal senso ideate. Fare rete e creare sistemi di viabilità alternativa diventa un obiettivo più alto e allo stesso tempo più difficile da raggiungere. «L’attraversamento delle città è uno dei punti più qualificanti. Come associazione – continua Schillaci – non siamo integralisti nell’ottica di creare luoghi protetti per le bici, ma puntiamo su un cambio di visione di cosa significa spostarsi. Bisogna perseguire la moderazione del traffico. Non ha senso fare piste ciclabili con accanto un traffico folle».
Secondo la Fiab, «a Marina di Ragusa hanno fatto un ottimo lavoro perché hanno lavorato su una strada dove un tempo si viaggiava ad alta velocità, oggi invece hanno dato la possibilità di uscire dai villaggi e arrivare al centro in bici, ad esempio per fare la spesa», sottolinea l’esperto. Che poi guarda al futuro. «Se si riuscisse a rendere l’intera costa ciclabile, si avrebbero anche benefici economici, perché un territorio aperto alla viabilità alternativa è interessante per migliaia di persone». Il riferimento è al cicloturismo, fenomeno che da anni spopola in tutta Europa. Milioni di appassionati viaggiano tra una nazione e l’altra usando la bicicletta, combinandola con l’uso dei mezzi pubblici, il treno soprattutto. «Le cifre dicono che i cicloturisti tendono a spendere più di chi si sposta in auto ed è per questo che in altre parti del mondo si cerca di capire come attirare questo genere di domanda», spiega Schillaci.
La Sicilia, dal canto suo, non è esclusa da tale progettualità. Anzi è parte integrante di un percorso europeo – denominato Eurovelo 7 – che da Capo Nord, in Norvegia, porta fino a Malta, attraversando Svezia, Danimarca, Germania, Repubblica Ceca, Austria, Italia. Fino a Pozzallo, la località ragusana, da dove ci si può imbarcare per Malta. «L’Europa delle due ruote guarda alla Sicilia da decenni, siamo noi che non ce ne siamo accorti ancora», commenta amaro il referente Fiab. La realtà, invece, parla di tanti piccoli esperimenti locali, senza una progettualità di fondo e questo nonostante nel 2005 la Regione abbia approvato il piano per la mobilità non motorizzata. Un documento che, a distanza di undici anni, sembra più un libro dei sogni.
«Rimangono i singoli casi virtuosi come il tratto Menfi–Portopalo di Menfi o la Castiglione–Rovittello alle pendici dell’Etna – ricorda Schillaci -. Esempi di come spostarsi in bici possa riservare sensazioni precluse a chi non riesce a immaginare altro che infilarsi dentro un’auto. Però finché non si farà sistema, creando pezzi isolati di piste, il vero senso della mobilità alternativa non verrà mai afferrato». Ma la speranza che le cose possano cambiare non è morta, ed è per questo che lo stesso Schillaci è tra i promotori del progetto Greenet Sicilia, con il quale il coordinamento Unesco Sicilia punta a creare le condizioni per collegare i sette siti siciliani patrimonio dell’umanità «mediante percorsi di mobilità dolce intermodale bici-treno, sul modello delle Vias Verdes spagnole».