Il procuratore generale Giuseppe Fici ha chiesto, tra le altre cose, di acquisire il verbale con le dichiarazioni di Giovanni Brusca su un incontro personale fra il boss di Brancaccio e l'ex premier, circostanza di cui avrebbe saputo dal latitante Matteo Messina Denaro
Appello Stato-mafia, accusa chiede riapertura dibattimento Torna in ballo il presunto incontro fra Graviano e Berlusconi
«Nuove dichiarazioni, nuove circostanze». Da qui la richiesta di nuove acquisizioni da parte del procuratore generale Giuseppe Fici, che ha preso la parola oggi all’udienza del processo di appello sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. Chiedendo al giudice Angelo Pellino di far entrare a dibattimento il verbale con le dichiarazioni di Giovanni Brusca del 16 ottobre 2018, in cui l’ex braccio destro di Riina farebbe riferimento a un incontro fra Giuseppe Graviano e l’ex premier Silvio Berlusconi. Un fatto appreso dal boss nel 1995 durante un summit mafioso nel Trapanese, in particolare in colloquio avuto con Matteo Messina Denaro, che avrebbe avuto riferito a sua volta questa specifica circostanza da una confidenza di Graviano stesso. Il boss di Brancaccio avrebbe riferito al latitante un dettaglio specifico, cioè che l’ex presidente del consiglio, durante quell’incontro, avrebbe sfoggiato un orologio di particolare valore.
«Una circostanza che Brusca indica temporalmente e in termini di localizzazione geografica – precisa il pg in aula -, il mio ufficio ha proceduto al riscontro con altro collaboratore che avrebbe partecipato a quell’incontro, Vincenzo Sinacori, il verbale è dell’11 aprile 2019. Si chiede che la corte acquisisca questi due verbali e, se le parti non fossero d’accordo, si chiede l’esame di procedere all’esame di Brusca e Sinacori. Come prova nuova si chiede anche l’acquisizione delle dichiarazioni del 28 maggio 2018 di Brusca durante l’abbreviato di Mannino, dopo la sentenza qui impugnata e prima del deposito delle motivazioni. In quel contesto Brusca ha parlato della fase esecutiva dell’attentato contro Mannino, fase che aveva personalmente seguito e avviato nel giugno ’92, tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio. Durante la fase di preparazione incaricò Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera per la parte ricognitiva», prosegue il pg nel suo discorso. Che ha chiesto alla corte anche l’acquisizione del verbale con le dichiarazioni di uno degli ultimi collaboratori di giustizia, Filippo Bisconti, anche queste riferite a Calogero Mannino. Chiede invece l’audizione di un altro collaboratore, Francesco Squillace, rispetto ad alcune dichiarazioni che coinvolgono Marcello Dell’Utri rese il 30 maggio e il 19 settembre 2018 alla Dda di Catania.
In primo grado la corte d’assise aveva condannato a 12 di carcere l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex carabinieri del Ros, Mario Mori e Antonio Subranni; stessa pena per Antonino Cinà, medico e fedelissimo di Totò Riina; otto anni di reclusione invece per l’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno e 28 anni per il boss Leoluca Bagarella, la pena più alta; mentre otto anni per Massimo Ciancimino per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro. L’accusa ha esibito alla corte e messo a disposizione delle difese, chiedendone l’acquisizione, anche la documentazione relativa alle prime indagini sull’omicidio di Peppino Impastato, condotte dall’allora maggiore Antonio Subranni, all’epoca comandante del reparto operativo dei carabinieri di Palermo. «Chiedo di produrre il decreto di archiviazione – dice il pg, riferendosi alla sentenza dello scorso agosto -, sono valutazioni molto severe quelle del giudice delle indagini preliminari di Palermo, che ha archiviato la posizione di Subranni per problemi di carattere prescrizionale dove si afferma che la pista mafiosa fu aprioristicamente, incomprensibilmente, ingiustificatamente, frettolosamente esclusa».