Antonio Ingroia, il giudice ‘monello’

Anche se non è più pubblico ministero a Palermo, Antonio Ingroia resta un uomo scomodo. Scomodissimo. Ha toccato i ‘fili’ che legano mafia e Stato. Ha persino indagato sulla trattativa tra Stato e mafia al tempo delle stragi di Capaci e di via d’Amelio e delle bombe – mafiose come le stragi – di Milano, Firenze e Roma. Insomma, ce n’è abbastanza per spedirlo dritto dritto ad Aosta o chissà dove.

Appena qualche giorno fa, Ingroia è stato nominato dal Governo regionale, presieduto da Rosario Crocetta, al vertice di Riscossioni Sicilia spa, la società regionale che si occupa della riscossione dei tributi mediante ruoli.

Ma oggi dalla terza commissione del Csm – sigla che sta per Consiglio superiore della magistratura – fanno sapere, bontà loro, che Ingoia non può ricoprire questo incarico amministrativo. Quello di non concedere ai magistrati la possibilità di ricoprire incarichi amministrativi – fanno sapere sempre dal Csm – è ormai un orientamento consolidato.

Se le cose stanno così, dobbiamo arguire che i magistrati che hanno fatto parte delle precedenti Giunte regionali non hanno svolto attività amministrativa, ma attività politica. Idem per l’attuale assessore della Giunta Crocetta, Nicolò Marino, magistrato anche lui, che non starebbe svolgendo attività amministrativa.

Ovviamente, ora arriverà qualche giurista di ‘grido’ e ci spiegherà le ‘differenze’ – meta-amministrativologiche’ – tra i compiti di un assessore regionale e i compiti di un amministratore di una società regionale. Motivando perché il Csm non ha nulla da dire sui magistrati che ricoprono il ruolo di assessori regionali e dice no, invece, ai magistrati chiamati ad amministrare società regionali.

Detto questo, siccome siamo ancora in un Paese libero, noi vogliamo dire la nostra. E diciamo che Ingoia lo stanno mandando via dalla Sicilia perché è inviso a tutti.

E’ inviso a certi suoi colleghi perché, ad esempio, nell’indagine sulla Gas spa ha tirato dritto, senza guardare in faccia nessuno. Un comportamento molto diverso da quello tenuto da chi lo ha preceduto in questa delicata indagine, con riferimento, soprattutto, a Piero Grasso e ai magistrati molto vicini all’ex Procuratore nazionale antimafia ed ex Procuratore della Repubblica di Palermo.

Oltre che non stare simpatico a certi suoi colleghi magistrati, Ingroia non sta simpatico al centrodestra siciliano, che si è scatenato tra ironia e sarcasmo non appena è venuta fuori la notizia della sua nomina al vertice d Riscossioni Sicilia. Berlusconi, poi, non lo sopporta, Marcello dell’Utri non ne ne parliamo.

Non sta simpatico anche al centrosinistra e, soprattutto, al Pd, Partito di noti farisei e sepolcri imbiancati. Non sta simpatico agli uomini politici del centro: e questo magari è anche logico, visto che ha indagato sulla trattativa tra Stato e mafia: trattativa ‘centrista’ per antonomasia, anche se con deviazioni a destra e a sinistra.

Ingroia non sta simpatico alla Presidenza della Repubblica per via delle celebri intercettazioni che, piaccia o no, hanno finito con l’incasinare l’ex Ministro Nicola Mancino e lo stesso Quirinale con i suoi ‘abitanti’.

Ovviamente, non piace ai mafiosi ai quali ha rotto abbondantemente le scatole, ‘inbordellando’ i suoi uomini ‘migliori’.

Insomma, da qualunque parte lo si guardi – dal centro, da destra, da sinistra, dalla parte della mafia, dalla parte dell’antimafia – Ingroia non piace e basta. Non sembra ‘commestibile’ per nessuno dei poteri italiani. E’ un giudice ‘monello’. Perché tutti, chi più chi meno, hanno qualcosa da dire su di lui. Così lo vogliono a tutti i costi ‘sbolognare’ tra gli stambecchi, come ha detto, se non ricordiamo male, Massimo Ciancimino.

“Per trovar la giustizia – ci ricorda Piero Calamandreibisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede…” (i tre puntini sospensivi sono nostri).

 


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