Anno giudiziario: carcere, avvocatura, mafia Tutti i temi caldi trattati durante la cerimonia

«Un cambiamento profondo ha bisogno di tempo». Lo dice Gioacchino Natoli, rappresentante del Ministro della giustizia. Il suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario di questa mattina nell’aula magna del tribunale punta soprattutto a elencare gli ultimi risultati positivi raggiunti o in corso di raggiungimento. Dall’innovazione della macchina organizzativa a un maggiore ascolto verso tutte le parti. Si punta soprattutto a un nuovo slancio dei processi di informatizzazione del sistema e sulla riduzione del debito Pinto per 100 milioni. E ancora a un profondo riordino del Ministero e a nuovi modelli organizzativi del sistema di esecuzione della pena, a nuove politiche del personale amministrativo, alla revisione delle piante organiche e al costante dialogo con gli avvocati e l’associazionismo civile.

«I segni di un moderno disegno riformatore sono comunque evidenti oggi – spiega Natoli – Certo, ci sono stati ritardi e disfunzioni, ma i risultati ci sono stati». Tra questi la riduzione dei costi: dai 75 agli 85 milioni, «vero esempio di spending review». I soldi risparmiati verranno investiti nell’adeguamento delle strutture giudiziarie. «Il 2016 dimostra la validità del metodo scelto dal ministro Orlando, che ha innescato una dinamica virtuosa dell’apparato giudiziario», conclude. Progressi e passi avanti condivisi anche da Salvatore Di Vitale, presidente del tribunale di Palermo, che loda soprattutto la capacità sinergica di tutte le parti del mondo giurisprudenziale. Il suo discorso di benvenuto al nuovo anno giudiziario affronta imparziale luci e ombre di quello appena concluso. «Una giustizia tardiva in ogni caso è una non-giustizia – dice – La giustizia giusta è quella che rende adeguatamente conto della propria decisione. Quindi se da una parte non vanno bene i diktat, occorre dall’altra che i giudici si attrezzino per andare incontro ai bisogni della gente in tempi adeguati».

Impossibile, poi, non tirare in ballo ancora una volta i vantaggi raggiunti con l’utilizzo del sistema informatico. Tutti interventi che, tuttavia, risolvono solo in parte e a volte solo momentaneamente le criticità. «Sono entrato in magistratura nel 1976 e oggi finalmente è avvenuta la revisione delle circoscrizioni e degli organici. Il tribunale di Palermo ha avuto anche un aumento di tre unità – prosegue – ma non posso non osservare che si tratta di una goccia nel mare che non elimina il gap». A preoccupare il giudice è soprattutto la carenza di organico pari a circa 1200 magistrati, che secondo lui non potrà essere colmata in tempi brevi. «La magistratura è sempre più al femminile – conclude Di Vitale – Però le continue assenze per maternità non possono ricadere su altre madri. Per ogni assenza deve esserci qualcuno che subentri subito e il Csm in questo senso può fare molto».

Ma si parla anche di applicazione della pena detentiva e di carcere. Tematiche i cui effetti vanno tenuti in considerazione, soprattutto nell’ottica della dignità delle persone. «Serve riflettere molto su questi argomenti», dice infatti Giancarlo Trizzino, presidente del tribunale di Sorveglianza, che avverte: «Ogni domanda sul carcere e sulla pena portano a chiederci a quale giustizia guardare e a quale società auspicare. La città solidale non accetta emarginazione e cerca di essere una città per tutti». Dopo i giudici è la volta dell’avvocato Giuseppe Di Stefano, vice presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Palermo: «In questi anni vissuti nelle aule dei tribunali il filo conduttore è stata l’immagine impietosa fatta della giustizia, per incapacità dei funzionari o per le lungaggini dei processi. Ma negli ultimi tempi si è registrata un’inversione di tendenza», dice l’avvocato.

«Nei tribunali curiamo i diritti dei cittadini, discutiamo del loro futuro, delle loro angosce e passione, per questo la società merita qualità delle decisioni e non numeri», prosegue Di Stefano, che dichiara finita l’era delle lamentele. «Noi avvocati, alla luce delle novità legislative, ci siamo prontamente attivati per rendere un servizio-giustizia all’altezza dei giorni d’oggi», e sono quattro i punti su cui si sofferma: il patrocinio per i cittadini indigenti, poiché la difesa è un diritto inviolabile e prescinde dalla condizioni economiche del singolo. I rapporti fra avvocatura e magistratura, che si sono intensificati in un’ottica di sereno dialogo, «a volte acceso ma sempre costruttivo». I minori stranieri non accompagnati: solo nel 2016 i procedimenti che li hanno riguardati sono stati oltre il quadruplo di quelli del 2015, si tratta di un fenomeno destinato ad aumentare per via della chiusura dei confini balcanici.

«Dobbiamo investire sulla specializzazione di tutti i settori coinvolti e che hanno a che fare col fenomeno – spiega l’avvocato – Appare ineludibile una nuova risposta del mondo-giustizia a questa emergenza in primis umana e sociale, gli avvocati sono pronti a fare la loro parte. Il punto finale è quello che riguarda mafia e antimafia, che Di Stefano definisce «una lotta di libertà e per la libertà. Un territorio vessato non è libero. Non è libera una città in cui i magistrati sono costretti a vivere blindati. Molto rimane da fare, non dobbiamo mai abbassare la guardia perché il nemico è insidioso. Tuttavia, non si può vivere senza sogni – conclude – Il mio è che negli anni futuri la giustizia possa essere più pronta e sempre più giusta. È per questo che noi avvocati ci impegneremo».


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