Al Laboratorio d'Arte una doppia presentazione in cui si intrecciano la politica e la musica. Un libro che racconta un amore tra due giovani di schieramenti ferocemente contrapposti. Un altro che ripercorre una stagione artistica nella quale anche il testo e la parola avevano un ruolo fondamentale
Anni ’70, come le suonavano
Si è parlato degli anni settanta domenica pomeriggio all’incontro-dibattito “anni 70, canzoni e passioni di un decennio” tenutosi presso il centro studi “Laboratorio d’arte”.
E lo si è fatto soprattutto attraverso la presentazione di due libri, incentrati su quel periodo, e l’incontro con i relativi autori.
Uno dei due libri in questione, di cui la voce di Alice Ferlito ha recitato alcuni spezzoni, è “Quello che veramente ami”, del giornalista palermitano Riccardo Arena; un romanzo che racconta una storia d’amore nata tra un giovane estremista di destra ed una militante della parte opposta. Il libro, frutto di un meticoloso lavoro di ricostruzione, tende soprattutto a mettere a nudo lo scontro generazionale di quegli anni. In esso, spiega il giornalista, «si immagina questo amore impossibile tra destra e sinistra con dei sentimenti che alla fine riescono ad essere così autentici da superare quello che all’epoca era un “must”, cioè ammazzarsi di botte, anziché fare la cosa più semplice che poteva esserci, parlarsi. Parlarsi era out, parlarsi era “borghese”, e questo è quello che ci ha portato forse all’Italia di oggi, quella che tutti noi oggi non vorremmo, l’Italia delle veline e di qualcosa di brutto che si profila per il nostro futuro, visto in che situazione siamo ed in che mani siamo». L’autore infatti, seppur non intenzionato a proporre una vera e propria riconciliazione, ci tiene dal canto suo a proporre un superamento delle vecchie divisioni evidenziando «il legame che unisce i due ragazzi su valori che condividono, perché l’impegno politico rivoluzionario non ha colore, chi è rivoluzionario non è né di destra né di sinistra, è rivoluzionario e basta. E l’amore in questo quadro viene visto come una rivoluzione, un tentativo di arrivare ad un qualcosa che è impossibile».
Ma oltre alle passioni, politiche e non, l’incontro ha voluto mettere in risalto anche la musica di quegl’anni. “Anni affollati, l’Italia dei cantautori 1973-1983” di Mario Bonanno è un libro che ha la caratteristica di affiancare ad una fotografia storica dei momenti essenziali di quegli anni la riscoperta di quella che è la discografia essenziale del periodo, troppo spesso facilmente bollato come buio. «Gli anni settanta non sono stati solo terrorismo – tiene infatti a precisare Bonanno – ma è stata anche una stagione creativa, di straordinaria creatività. I cantautori italiani nascono negli anni settanta con la scuola romana del folk studio». E dobbiamo a quel periodo l’evoluzione della musica italiana che sarebbe rimasta altrimenti condannata a quel «pop e quella melodia innata nei geni del popolo italiano, che però a livello testuale non fa pensare e non trasmette niente».
L’idea del libro nasce infatti proprio dal fastidio di dover vedere i palinsesti radiofonici letteralmente invasi dai “singoli pilota”, imposti dalle case discografiche. «Negli anni settanta non era così, c’erano i deejay che portavano avanti un certo tipo di discorso. Io che ascoltavo la radio avevo la possibilità di conoscere non solo i singoli, ma tutto l’album, e provo fastidio di fronte a questo andazzo. Ho l’idea ferma e convinta che la canzone sia una cosa seria, un veicolo artistico che deve avere anche dei contenuti importanti. Un decennio in cui musica e parola contavano qualcosa e le canzoni, il discorso artistico dei cantautori era strettamente intrecciato alla politica o quantomeno al sociale che si respirava attorno. Oggi la tendenza è del tutto opposta».
Il giornalista inquadra così il panorama generale della musica odierna in quello generale della commercializzazione e del consumismo sfrenato. «Oggi non compriamo più i dischi, li scarichiamo, ed abbiamo una visione della musica troppo superficiale; la musica è diventata saponetta, tra un detersivo che quando finisce si butta e un disco non c’è nessuna differenza. Siamo in piena dittatura degli uffici stampa delle case discografiche che pretenderebbero di risolvere la loro crisi dando prodotti quasi esclusivamente postmediocri dal punto di vista contenutistico».
«I giovani – continua Bonanno – si aspettavano dai cantautori un certo discorso, e se non lo facevano non compravano il disco. Gli anni settanta sono anche la crisi di Massimo Ranieri, di Gianni Morandi. Quello che io cerco di dimostrare è proprio la stretta connessione che passava negli anni settanta tra la storia, il costume, la società civile e le canzoni dei cantautori, anche se oggi viviamo in tempi di rimozione collettiva e di abiura, persino da parte di alcuni cantautori».
All’incontro dibattito, hanno dato il loro contributo anche il professore Salvatore Di Stefano, che ha voluto sottolineare come il terrorismo abbia danneggiato proprio quelle idee di sinistra in nome delle quali quegli atti venivano compiuti, ed il giornalista Leonardo Lodato, che ha raccontato attraverso il suo punto di vista la rivoluzione musicale che prendeva forma in Italia ed all’estero durante quel periodo.
Gli anni settanta sembrano così lasciarci un’eredità di grande impegno sociale e di tensione artistica, come dimostrato dai grandi capolavori lasciatici non solo in campo musicale. Ma se la creatività e la vitalità di quel periodo rimangono un fatto assodato, ciò che però sfugge e preoccupa, è chiedersi che fine abbiano fatto tutti i rivoluzionari dell’epoca, e se per caso non siano proprio gli stessi che oggi formano quella “casta” che sta minando il futuro dei giovani di oggi, comportandosi spesso, in maniera anche peggiore, dei padroni di ieri.
L’incontro si conclude poi con l’ascolto di “Io se fossi dio”, una canzone di Giorgio Gaber il cui testo, osteggiato all’epoca dalla commissione censura, rimane ancora incredibilmente attuale.