Amministrative, Orlando e la sua ultima campagna «Non siamo più capitale della mafia, ma della cultura»

Ambizione, esagerazioni positive, rottura. Leoluca Orlando prova ancora una volta, la sua ultima, dice, a conquistare sul campo il diritto di governare Palermo per altri cinque anni. Una città cambiata nel corso degli anni e di cui il primo cittadino uscente ripercorre risultati ed evoluzioni, dalle «nuove linee del tram» a Bellolampo, «l’unica discarica siciliana in regola e dotata di un impianto per il trattamento meccanico biologico», senza per questo sottrarsi alle critiche. Ma guai a parlare di campagna elettorale. «Per me la campagna elettorale inizia il giorno dopo essere stato eletto – spiega Orlando a MeridioNews – Perché, per dirla come Eduardo De Filippo, gli esami non finiscono mai. La buona politica è essere sempre, ogni giorno essere disponibili a essere giudicati». 

Negli ultimi anni di mandato, effettivamente, non sono stati pochi gli spunti di discussione, spesso trasformati in aspra polemica: dalle pedonalizzazioni alla Ztl, ma il confronto sembra non spaventare Orlando. «Il politico – dice – non deve fare quello che vogliono gli elettori, ma deve avere una visione e un progetto. E deve essere in condizioni il lunedì di farsi insultare perché vuole pedonalizzare via Maqueda, martedì perché vuole pedonalizzare il Cassaro alto. E farsi insultare anche il mercoledì e il giovedì. E poi alla fine avere la conferma che avere messo la faccia e tenuto la posizione finisce con l’essere apprezzato anche da chi prima criticava». Quasi un gioco al massacro, che però finisce col ricompensare con i frutti sperati: «La politica in questo ha la sua dignità: nel non andare a inseguire i consensi, ma cercare di ottenere il consenso. Se dieci persone vengono a trovarmi per domandarmi qualcosa, che è assolutamente legittimo, istintivamente penso il contrario, perché rischio di accontentare dieci che vengono da me, ma rischio di scontentarne diecimila che magari non vengono da me, ma mi giudicano per la mia coerenza, per la mia visione di città». 

Nei discorsi del primo cittadino la parola ambizione ricorre spesso. Un’ambizione che, a suo dire, non deve essere solo di chi governa, ma che dovrebbe in qualche modo contagiare tutti. «Credo che questa campagna elettorale sia servita ad avere la conferma dai tanti, tanti, che ho incontrato in questi ultimi giorni che è opportuno tenere alta l’asticella: essere ambiziosi per amore della nostra città». E poco importa, ancora una volta, se in cambio giungono critiche e scetticismo. «Certo, se sei ambizioso per amore della tua città tutti ti dicono “certo, ma ancora non hai fatto le altre tre linee di tram”. Ma intanto quattro le abbiamo fatte. L’alternativa qual è? È quella di tenere l’asticella talmente bassa da coincidere con la palude. E non ci sto. Non appartiene alla mia convinzione e alla mia storia». 

Tornando all’agone elettorale, tanti sono i candidati nelle liste che fanno capo a Orlando a provenire dal mondo dell’associazionismo cittadino. «Abbiamo avuto la condivisione spontanea di chi vive il mondo associativo e di chi in questi anni ha condiviso con l’amministrazione comunale un progetto e un’idea di città. Ha condiviso quel cambiamento culturale che è in atto e che non deve essere fermato. È come se mi avessero chiesto: “sindaco, abbiamo percorso 45 chilometri, dobbiamo percorrere gli altri 55 che mancano, stiamo insieme per completare l’obiettivo”». Un obiettivo, quello dell’ultimo slancio evolutivo della città, che per Leoluca Orlando è priorità, visto che si tratta, a suo dire, dell’ultima battaglia elettorale. E anche in questo caso, ancora una volta, tutto ruota attorno al ruolo della città come capitale e alla sua capacità di esserlo. «È l’ultima volta che mi candido a sindaco – continua Orlando – e voglio completare un percorso che ha fatto passare Palermo da terribile capitale della mafia a capitale della cultura. Sì, lo so, c’è qualcuno che dice che è un’esagerazione parlare di capitale della mafia, così come c’è chi dice che è un’esagerazione parlare di capitale della cultura. Ma meglio esagerare ed essere capitale della cultura che esagerare ed essere capitale della mafia». 

Il sindaco uscente, che punta dritto verso il suo quinto mandato come passo d’addio, tuttavia, non sembra avere indicato un erede designato. Nessun delfino all’orizzonte e ne spiega anche il perché. «Io ho un rispetto sacro per la libertà delle persone e per l’identità di ognuno di noi, che è quella che ognuno di noi sceglie di avere – conclude Orlando – Tremo invece e considero un mio nemico la cultura dell’appartenenza. Se c’è un’espressione terribile è la domanda “A chi appartieni?”. La mia domanda invece è “Chi sei?”, “Chi vuoi essere?”. Avere un erede significa avere cultura dell’appartenenza. La mia vita e le mie rotture, da sempre, mi hanno fatto preferire la mia identità alla mia appartenenza». 


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