Alle radici dell’identità siciliana

da Giovanna Livreri
candidata al consiglio comunale di Palermo
nelle file dell’Altra Sicilia
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Di questi tempi – tempi di elezioni in Sicilia – è tornato di moda parlare di sicilianità e di autonomia. Ma quanti sanno veramente di che parlano? E allora un po’ di cultura sull’Identità siciliana non guasta per nulla e consentirebbe di scoprire un mondo vivo che ancora pulsa sotto la cenere del vulcano dell’Isola. Con l’augurio che queste mie riflessioni possano aprire un dibattito tra quanti hanno a cuore il rilancio dell’Autonomia e, quindi, la rinascita della Sicilia.

Il 31 marzo sarà l’anniversario dei Vespri e della nascita della nostra bandiera che a questo evento è legata. Appena 730 anni fa. Partiamo quindi dal vessillo ufficiale della Sicilia che è costituito da un drappo di colore giallo-rosso tagliato diagonalmente: il giallo fa riferimento alla bandiera civica di Palermo e il rosso a quella di Corleone (sì avete capito bene!), che fu il primo Comune siciliano a seguire l’esempio di Palermo nella vigorosa rivolta antifrancese del Vespro siciliano, scoppiata nella generosa città di Palermo il 30 marzo del 1282. Pochi giorni dopo, il 3 Aprile 1282, venne stipulato il patto d’alleanza fra i palermitani e i corleonesi, per combattere contro il comune nemico angioino; e, nello stesso giorno, con rogito del notaio Benedetto da Palermo, nacque il vessillo dei siciliani liberi, unendo i colori delle due città. Da allora questo vessillo raffigura l’unione spirituale dei siciliani; e al centro reca il vecchio simbolo: il triscelico della Trinacria.

Pochi sanno che il Parlamento siciliano è il più antico del mondo, in quanto in Sicilia lo si ebbe nel 1129, con Ruggero II. L’Inghilterra ebbe il Parlamento solo nel 1264. Il volgare siciliano fu il primo volgare in assoluto, capostipite della lingua italiana. “Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano”, tratto da Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, dodicesimo capitolo del primo libro.

La Costituzione siciliana del 1812 è stata la prima ed unica Costituzione, degna di tale nome, adottata da uno Stato preunitario. Era una Costituzione “moderna”, soprattutto perché introduceva il principio della divisione e della distinzione di ruoli fra potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario.

La Sicilia è stata una nazione per 686 anni: dal 1130 al 1816. La Rivoluzione indipendentista siciliana del 1848 diede vita ad uno Stato indipendente che sopravvisse 16 mesi; la Costituzione adottata era molto progressista per quei tempi in termini liberal-democratici. Venne adattata e ripristinata la Costituzione Siciliana del 1812: Art. 2 – La Sicilia sarà sempre Stato indipendente. Art. 3 – La sovranità risiede nella università dei cittadini siciliani.

1866 – La rivolta del “Sette e Mezzo”. Ovvero la rivolta del popolo siciliano, in particolare a Palermo (e quando mai!, qualcuno dirà) contro la ‘piemontizzazione’  dell’Isola . Ciò avvenne dal 15 al 22 settembre 1866, a Palermo, e si contarono circa diecimila morti per la libertà e per l’indipendenza della Sicilia.

Il Movimento Indipendentista Siciliano 1943-51. Il MIS si venne a creare in Sicilia subito dopo lo sbarco alleato nel 1943. Lo scopo di questo Movimento era l’indipendenza della Sicilia dall’Italia. Motivi culturali, politici ed economici spinsero i siciliani a volere l’indipendenza, dopo 83 anni di sottosviluppo ed emigrazione, conditi da una politica economica svantaggiosa per la Sicilia. Nacque l’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Siciliana 1944-46). Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, eroi e caduti siciliani, persero la vita in un agguato teso dai carabinieri il 17 giugno 1945, sacrificando la loro vita per l’ideale di patria siciliana. Ma non furono le sole vittime di questa lotta per l’indipendenza (aggiungerei anche Francesco Ilardi).

Grazie alla lotta del MIS e dell’EVIS la Sicilia ottenne lo Statuto Autonomo della Regione Siciliana, entrato in vigore il 15 maggio 1946. Lo Statuto Siciliano, figlio del ‘patto’ tra Sicilia ed Italia, avrebbe dovuto dare grande autonomia alla nostra terra, sfruttando a favore dei siciliani le enormi ricchezze che la Sicilia ci offre. Ma questo non è avvenuto come dimostra la disapplicazione, quasi totale, dello stesso Statuto.

Lo Statuto fu tradito. – Art. 14 ( Legislazioni esclusive, es. Petrolio, Gas, etc..) – Art. 15 (Abolizione Province e Prefetture) – Art. 33 (Proprietà della Regione i giacimenti di Petrolio, Metano, etc..) – Art. 36 (Imposte all’italia solo su produzione, tabacchi e lotto) – Art. 37 ( Gli stabilimenti industriali in Sicilia pagano le tasse alla Regione) – Art. 40 (Camera di compensazione, per usare in Sicilia la valuta estera). Questi sono solo alcuni esempi (ma ce ne sono altri) di come lo Statuto non sia applicato, a scapito del popolo Siciliano e della Sicilia.

Conoscere il nostro Statuto significa, quindi, conoscere i nostri diritti e onorare il sangue dei caduti per la libertà ed autonomia – vera – della Sicilia. Le testimonianze italiane sul Risorgimento sono eloquenti sul dolore dei nostri fratelli caduti per l’indipendenza dell’Isola: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto che del male, non rifarei la via dell’ Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio!”. Così scrive Garibaldi ad Adelaide Cairoli in una lettera del 1868. Ed ancora: “Lo Stato italiano era una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori sardi [leggi “piemontesi”, n.d.r.] tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

Antonio Gramsci, citato da Lorenzo Del Boca nel suo libro “Maledetti Savoia” – Edizioni Piemme Pocket, Casale Monferrato, 2001, pag. 161. “Morti fucilati istantaneamente: 1.841; morti fucilati dopo poche ore: 7.127; feriti: 10.604; prigionieri: 6112; sacerdoti fucilati: 54; frati fucilati: 22; case incendiate: 918; paesi incendiati: 5; famiglie perquisite: 2.903; chiese saccheggiate: 12; ragazzi uccisi: 60; donne uccise: 48; individui arrestati: 13.629; comuni insorti: 1.428”, notizie tratte dal giornale “Il Contemporaneo” di Firenze di quel periodo in una statistica di soli nove mesi di reazioni nelle province meridionali.

“… Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore, ne può senza fremito rammentarsi molti villaggi del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo e innumerevoli sacerdoti, e religiosi, e cittadini d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi infermi, indegnamente oltraggiati e, senza neppur dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro dei modi uccisi… Queste cose si fanno da coloro che non arrossiscono di asserire con estrema impudenza… voler essi restituire il senso morale all’Italia”, cosi’ Pio IX, nell’allocuzione tenuta al concistoro segreto del 30 settembre 1861. “La popolazione siciliana in massa detesta il governo d’Italia, che, al paragone, trova più tristo e feroce del Borbone”, così scriveva Francesco Crispi (da Realtà siciliana di G. Garretto).

“Nessuno vuole saperne di noi piemontesi… Siamo venuti in odio a tutti e tutti sono divenuti nostri nemici”, così scriveva Massimo D Azeglio (tratto da ‘Realtà siciliana’ di G. Garretto).
“La Sicilia lasciata a sé troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari, e ce ne assicurano l’intelligenza e l’energia della sua popolazione, l’immensa ricchezza delle sue risorse… Ma noi italiani delle altre regioni, impediamo che tutto ciò avvenga. Abbiamo legalizzato l’oppressione esistente, ed assicuriamo l’impunità all’oppressore” (così scriveva Sidney Sonnino, Presidente del Consiglio dei ministri del Regno nel 1906 e dal 1909 al 1910, pagine tratte sempre da ‘Realtà siciliana’ di G. Garretto.

“Garibaldi dichiara pubblicamente che non vuole tribunali civili, perché i giudici e gli avvocati sono imbroglioni; che non vuole assemblea perché i deputati sono gente di penna e non di spada; che non vuole niuna forza di sicurezza pubblica, perché i cittadini debbono tutti armarsi e difendersi da loro”, questa la testimonianza di La Farina, in un diario. Parliamo di uno degli uomini che organizzò nell’ombra la spedizione dei Mille.
Lo stesso deputato Crispi, nella susseguente tornata elettorale, movendo interpellanza sui fatti di Castellammare del Golfo, dice che il malcontento in Sicilia è gravissimo. Il deputato Cordova rivela i seguenti abusi: “1) Negli uffici delle dogane di Sicilia furono nominate persone idiote e analfabete. 2) In Palermo i doganieri rubano, ed in Messina gli impiegati sono uccisi, occupando il loro posto gli uccisori. 3) In Siracusa gli impiegati sanitari degli ospedali sono il quadruplo del numero degli infermi. 4) Gli impiegati in Sicilia sono enormemente moltiplicati e, sotto questo aspetto, era assai migliore il governo borbonico, il quale per la Luogotenenza spendeva novecentomila lire meno del governo piemontese. 5) Si danno tristissimi esempi al popolo e questo impara il male dai governanti…”.

Il deputato D’Ondes Reggio non era di meno: “Devo esprimere a voi fatti miserandi e sui quali il ministero non accetta inchieste. Eppure non si tratta di partiti politici; ma dei diritti, della giustizia e dell’umanità orrendamente violati! I siciliani non hanno avuto mai leva militare, e repugnano ad essere arruolati… il Governo ha fatto per la Sicilia una legge eccezionale, che è eseguita con ferocia” Declamazioni fatte nel Parlamento di Torino nel corso delle sessioni del 1861.

Interessante anche leggere le pagine de “La conquista del Sud”, di Carlo Alianello, che cita la Cronaca anonima degli avvenimenti di Sicilia per il periodo che va dall’aprile 1860 al marzo 1861. “Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del Meridione italiano. È vero che in un Paese gl‘insorti sono chiamati briganti e nell‘altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun‘altra differenza tra i due movimenti”. Benjamin Disraeli, alla Camera dei Comuni del parlamento inglese, nel 1863.

Se volete saperne di piu’ vi invito alla lettura dell’articolo di M. Blondet, pubblicato su L’Avvenire del 6 agosto 2000, dall’interessante titolo: “Il Risorgimento visto da un nobile irlandese: le ombre e di delitti del governo sabaudo” .

Poveri noi preda dell’oblio e dell’ignoranza. Nati liberi e ridotti schiavi. Un popolo senza memoria è un popolo senza dignità. Diffidate dai falsi autonomisti e non mischiatevi con i falsi amici della Sicilia.

ANTUDO (Animus Tuus Dominus) era e resta il grido di battaglia del Vespro e degli eroici palermitani. Vorremmo sentirlo ancora forte ed alto a restituire dignità ai siciliani al di qua e al di là del Faro.
Il termine “ANTUDO” era un incitamento utilizzato dai siciliani che significa : Animus Tuus Dominus, cioè il coraggio è il tuo signore (non i Francesi!). Era utilizzato come un segno di riconoscimento durante le fasi iniziali del Vespro siciliano (1282), ed era la parola d’ordine usata dagli organizzatori della rivolta. Tale termine è stato scritto anche nella bandiera giallo-rossa che ha al centro la Trinacria e che divenne poi il vessillo della Sicilia. Antudo è stato un termine sempre presente nei veri movimenti indipendentisti siciliani.

la foto di prima pagina è tratta da ilgiornaledpachino.com

foto di Antonio Gramsci tratta da sardegnademocratica.it

foto di Crispi tratta da corrieredisciacca.it

 


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