Aids vs Hiv, immunodeficiente a chi? L’informazione oltre la prevenzione

Quando, a inizio anni ’80, si manifestarono negli Stati Uniti i primi casi di Aids, si diffuse la rassicurante convinzione che la nuova malattia colpisse solo i gay (e fosse magari legata alle loro preferenze sessuali contro natura). Poi ci si accorse che l’Aids colpiva anche altre categorie di persone: haitiani, eroinomani ed emofiliaci. Questo iniziava ad essere meno rassicurante, visto che se un bravo cittadino americano non avrebbe mai potuto appartenere (per definizione) alle categorie di “haitiano” o “eroinomane”, nulla impediva che fosse affetto da emofilia (una malattia genetica che impedisce la cicatrizzazione delle ferite). Qualche mese dopo si arrivò a capire che il peculiare assortimento dei soggetti affetti da Aids derivava dalle modalità di trasmissione preferenziale della malattia: trasfusioni di sangue (emofiliaci), condivisione di siringhe (eroinomani) e sesso non protetto, specialmente anale (omosessuali). Perché nel mezzo ci fossero anche gli haitiani non si è mai capito. Nel frattempo si è scoperto che ci si può ammalare tutti, uomini e donne, omo e etero, bianchi e neri, anche se non tutti con la stessa facilità.

Trasfusioni di sangue infetto

L’Aids è causato da un virus chiamato Hiv. Questo lo si sa da decenni, ma qualcuno ancora non ci crede e sarà probabilmente impossibile fargli cambiare idea (come a quelli convinti che lo sbarco sulla luna sia stato girato a Hollywood).
[Ma negare l’evidenza è pericoloso: lo spaventoso dilagare di Aids e Hiv in Sudafrica è stato in buona parte causato dalla convinzione che si possa guarire l’Aids stuprando una vergine. Questo ha portato ad un incremento del numero di stupri, soprattutto ai danni di bambine e addirittura neonate.]

Negazionista Aids /Hiv

Un virus è un organismo molto semplice, tanto semplice che non è tecnicamente neppure vivo. Infatti lasciato a se stesso non è capace di fare nulla, ma se riesce a trovare una vittima, cioè una cellula, può utilizzarla per riattivarsi e riprodursi. Di virus ce ne sono un’infinità: alcuni sono innocui, altri causano tumori, l’influenza o l’herpes. O, appunto, l’Aids.

L’Hiv non è che sia un virus particolarmente figo. E’ gracilino e si rompe facilmente, tanto che può essere trasmesso solo tramite i cosiddetti fluidi corporei. Le sue vittime preferite sono le cellule del sistema immunitario, in particolare quelle che hanno una specifica proteina sulla loro superficie. L’Hiv si attacca alla cellula utilizzando questa proteina come appiglio, si stabilizza puntellandosi su un’altra proteina e infine si fonde con la cellula, riversando all’interno il suo magro carico: l’Rna virale (che nell’Hiv sostituisce il Dna come materiale genetico) e una manciata di proteine necessarie all’occupazione della cellula. Si, perché quel pezzettino di Rna virale da solo non andrebbe da nessuna parte. Malauguratamente, nel kit da buon scassinatore del virus c’è la Trascrittasi Inversa, una geniale proteina che può ricopiare l’Rna in Dna (in aperta violazione delle leggi cellulari) e ficcare il minuscolo pezzettino di Dna virale dentro quello della cellula.
[In pratica, l’Hiv si comporta come una ragazza che la trovi in un bar e te la porti a casa per la notte, per scoprire quando ti svegli che è venuta a vivere da te…]

Infiltrato nel Dna della cellula, il virus resta sommerso come un coccodrillo in uno stagno, rendendosi invisibile ai sistemi di difesa della cellula stessa e anche alla sorveglianza delle altre cellule del sistema immunitario. Quando si trova in questo stato, il virus è inattaccabile. Non c’è nessuna maniera di stanarlo di là, o almeno non è ancora stata trovata.

Quando la cellula infettata si attiva, per esempio per combattere un’infezione, il virus si risveglia e incanta i sistemi cellulari, convincendoli a lavorare per lui. La cellula diventa così una fabbrica: produce in massa Rna virale, che viene utilizzato per costruire le proteine virali e assemblare nuove particelle virali. Vengono così prodotti migliaia di virus che fuoriescono in massa dalla cellula, uccidendola: ognuno di loro andrà subito in cerca di un’altra vittima per ricominciare il ciclo. In pochi anni, se l’infezione non viene curata, muoiono talmente tante cellule che il sistema immunitario si debilita e non riesce più a proteggerci: si manifesta quindi una immunodeficienza acquisita, cioè l’Aids.

Arrivati a questo punto, basta un normale batterio intestinale o perfino la Candida a causare malattie gravi e anche mortali. Alla fine quindi non è l’Hiv ad uccidere, ma un’altra infezione a cui il sistema immunitario ormai in ginocchio non riesce a reagire.

Come detto, l’Hiv non è un virus particolarmente vigoroso e all’inizio dell’infezione non ha vita facile. Il sistema immunitario (ancora intatto) lotta, produce anticorpi, elimina le cellule infette (per evitare che si trasformino in fabbriche virali) e riesce per un po’ a controllare l’infezione. Ma quello che gli manca in potenza e aggressività, l’Hiv lo recupera in intelligenza.

Innanzitutto, nella scelta delle sue vittime: il virus infetta le stesse cellule che dovrebbero combatterlo, indebolendo il sistema dall’interno come fanno le mafie quando infiltrano lo Stato o la polizia. Inoltre, l’Hiv utilizza i suoi due più grandi difetti come armi.
Il primo difetto è che se la cellula infettata non si attiva, il virus resta dormiente (e invisibile), il che ne rallenta la diffusione. Ma questo significa anche che non potrà mai essere completamente sterminato: la parte dormiente sopravvive sempre e tornerà prima o poi all’attacco.

Il secondo difetto è che la proteina che copia l’Rna del virus in Dna ha un sistema di controllo qualità peggiore della Fiat. Fa così tanti errori che in pratica ogni virus è leggermente diverso dagli altri: alcune varianti vengono fuori difettose e non funzionano più (il che rallenta l’infezione), ma quelle che funzionano hanno un aspetto sempre diverso che i poliziotti del sistema immunitario fanno una fatica dannata a riconoscere. Stampa e stampa foto segnaletiche e mandale a tutti gli agenti: ma quando questi arrivano sul posto, il virus ha già avuto tempo di farsi la plastica e sembrerà al massimo un lontano parente di quello di prima. Questa caratteristica variabilità rende estremamente difficile anche la produzione di un vaccino.

La stessa difficoltà la incontrano i farmaci contro l’Hiv, che agiscono bloccando una delle proteine del virus: se la proteina cambia continuamente, a lungo andare ne salterà fuori una versione resistente. Ma negli ultimi anni si è scoperto che se si utilizza un miscuglio di diversi farmaci (ognuno contro una proteina diversa del virus), si riesce a sopraffare anche la sua straordinaria capacità di adattamento.

La nuova terapia – chiamata Haart – funziona. I sieropositivi (cioè le persone infette) che ricevono una diagnosi tempestiva e una cura immediata, vivono tanto quanto chiunque altro e non arrivano mai ad ammalarsi di Aids. Anche con una diagnosi tardiva, in ogni caso, le prospettive di vita sono buone. Ma i sieropositivi devono continuare la terapia – con i suoi effetti collaterali – per tutta la vita. Se smettessero, il virus nascosto nelle cellule dormienti si riattiverebbe e l’infezione ricomincerebbe ancora una volta.
Purtroppo, la maggior parte dei sieropositivi si trova in paesi poveri o poverissimi e non ha accesso alle nuove cure. Per loro, ancora oggi essere sieropositivi significa morire: l’Hiv lasciato a se stesso dà poca speranza e una volta che si manifestano i sintomi di Aids, restano solo pochi anni da vivere.

Il post originale su Biocomiche.it

*L’autore dell’articolo è uno scienziato, curatore del blog di divulgazione scientifica www.biocomiche.it

[Foto di ToastyKen]


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