Ospite dellAssociazione Musicale Etnea, il musicista iracheno ha incontrato studenti di ogni età per unintervista-performance che come la sua musica ha fatto incrociare Oriente e Occidente
Ahmed Mukhtar, la voce di Baghdad
«Quando vengo in Italia, e soprattutto in Sicilia, mi sento più vicino a casa». Così inizia l’incontro tra Ahmed Mukhtar – compositore e insegnante di origini irachene – e gli studenti (giovanissimi e non) ospitati nell’auditorium dell’ex Monastero dei Benedettini.
Tema centrale è stato l’oud, antichissimo strumento nato in Mesopotania che attraverso i secoli è arrivato anche in Europa, trasformandosi qui nel liuto. Chiamato “il sultano degli strumenti”, si trasforma tra le mani di Mukhtar in un mezzo di trasporto per terre lontane, evocate con maestria in un susseguirsi di melodie antichissime e altre di nuova invenzione.
Durante il brano “Childhood” si riescono a immaginare tempi e luoghi remoti, mentre “Espania” porta alla mente l’Andalusia, a noi più vicina geograficamente ma sempre ricca di fascino.
Se i ragazzi delle scuole elementari e medie sono affascinati dalla strana forma dello strumento e dalla sua storia che ha attraversato quei luoghi che finora hanno studiato sui libri di scuola, gli studenti del Laboratorio di ascolto musicale (uno dei Medialab della facoltà di Lingue) hanno preferito tematiche diverse e più inerenti ad Ahmed Mukhtar, la sua storia e la sua carriera.
Quanto è importante l’improvvisazione nella musica araba?
«E’ un argomento molto vasto che richiederebbe molto tempo per parlarne in maniera approfondita. Molto importante è avere una tecnica ben sviluppata, bisogna conoscere le scale della musica araba, gli otto maqamat principali e i 25 secondari. Ogni maqam ha dei modi per passare a un altro, per questo la modulazione è un elemento importantissimo nell’improvvisazione. Una volta che avete tutte queste conoscenze – e molto approfondite – a quel punto entra l’immaginazione».
Solo un intenso studio può quindi permettere di intraprendere la strada della composizione; per meglio spiegare l’importanza delle basi, Mukhtar riporta l’esempio di un allievo italiano al quale insegna musica araba che ha iniziato a cimentarsi con l’improvvisazione solo dopo quattro anni di studio.
Ha composto anche musica per ensemble?
«Sì, per esempio il mio ultimo cd è proprio per ensemble. Qanun (una sorta di salterio), contrabbasso, percussione e sassofono».
Quando ha iniziato a suonare e quando a comporre?
«Ho iniziato a suonare oud a 10 anni. Ho studiato cinque anni in Iraq, cinque in Siria a Damasco e tre a Londra. Quando ero in Siria, negli anni ’90, il mio insegnante mi disse che sarei stato un buon musicista e iniziai a comporre».
Da dove trae la sua ispirazione?
«L’ispirazione forse la possiedi sin dall’inizio, ma devi scoprirla».
C’è differenza tra musica scritta “classica” e musica più leggera, come in Europa?
«Non c’è una differenza così marcata come nel mondo occidentale, perché le basi della musica popolare sono le stesse, sono sempre le stesse scale e gli stessi maqamat».
Lo studio dell’oud è diffuso o è “elitario”?
«C’è tanta gente che impara a orecchio, è molto diffuso».
Infine si parla della relazione tra la sua città, Baghdad, e la musica. Il suo ultimo disco si intitola proprio “Road to Baghdad” e prende spunto dal lungo viaggio verso i luoghi dell’infanzia dopo quindici anni di assenza. Si crea così nella musica una commistione tra Oriente e Occidente, tra il passato e il presente, in un paese pieno di contraddizioni e a un punto cruciale della sua storia.
L’incontro termina con un saluto che contiene le infinite possibilità riservate dalla vita: «In arabo non si dice mai addio, ma arrivederci».
Arrivederci, quindi, Ahmed Mukhtar.