Acqua, le reti colabrodo raddoppiano le bollette Ma i costi di manutenzione sono a carico degli utenti

La cifra della civiltà di un popolo e di un territorio poggia su indicatori semplici. Tanto più grande è il distacco che separa la fruizione di un servizio dalla sua qualità, a un costo sostenibile, tanto più lontano ci si trova da un corretto equilibrio. Che l’acqua in Sicilia sia un bene di lusso non è uno spot da mettere a disposizione delle prossime tornate di demagogia gratuita che aspettano di tendere agguati all’elettore siciliano. È un fatto.

Per Renato Accorinti, sindaco di Messina, non ci sono molti dubbi. Lui ha individuato in Siciliacque il male assoluto, una società che vende l’acqua a prezzi troppo alti. E sarebbe stato questo uno dei motivi per cui, anni fa, Messina scelse di approvvigionarsi solo dalla condotta Fiumefreddo e non dall’Alcantara, gestita appunto da Siciliacque. La soluzione di tutti i problemi non cade dal cielo. E così è stato quando i privati nel 2000 fanno il loro ingresso, a pieno titolo, con tanto di convenzione con la Regione siciliana, nella gestione del servizio idrico. Il 20 aprile del 2004 s’insedia il consiglio d’amministrazione di Siciliacque. È il passaggio che segna la privatizzazione dell’Eas, (Ente acquedotti siciliani). Cuffaro in persona in una nota per la stampa saluta la cosa come un passaggio decisivo per «la completa razionalizzazione della gestione e della distribuzione delle risorse idriche in Sicilia: un obiettivo che ormai appare vicino e che si potrà di centrare in breve tempo grazie anche all’altissima professionalità dei nostri partners». 

Le opere di infrastrutturazione vengono annunciate in pompa magna, l’emergenza sarà presto solo un ricordo. Parola di governatore. Il film poi, in realtà, è stato molto meno appassionante. La liquidazione dell’Eas è ancora per strada. Di reti colabrodo, parlano tutti, quasi rassegnati. Dove si è perso il filo? Dove la trama è risultata inefficace? Nella logica perversa delle società miste? Guadagno privato, perdite pubbliche? Probabilmente non solo. Troppo semplicistico. Nella scelta dei soggetti sbagliati? Fino ad un certo punto, gli attori di questa storia hanno recitato il copione che un metodo approssimativo ha loro dato. La realtà invece è oggettivamente più complessa. 

Le tariffe più alte, in molti casi, della media nazionale, vengono fuori da un criterio che è fissato dall’Autorità nazionale di gestione di energia elettrica che punta al recupero integrale in bolletta dei costi sostenuti: quelli di gestione e quelli dell’investimento. I primi comprendono sia l’acquisto dell’acqua da parte del gestore che la parte tecnica relativa alla erogazione. Il costo che va ad incidere di più è quello relativo alle perdite delle varie reti. Che in molti casi, portano a raddoppiare il prezzo di acquisto dell’acqua. I parametri non possono sfuggire in teoria a queste regole generali, poste a salvaguardia dell’investimento dei privati. E il panorama delle reti strutturali è assolutamente deficitario. 

Le province orientali in termini di pluviometria, la capacità di recupero di acqua, sono maggiori rispetto ad esempio alle province di Enna, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Palermo. Tra i Peloritani e la parte a nord di Catania c’è maggiore ricchezza di acqua. Questo ricopre un ruolo e un’incidenza anche in termini tariffari. Uno dei cardini della legge Galli, ad esempio – quello relativo all’uniformità della tariffa del servizio idrico – ha funzionato a singhiozzo, e in alcune province, tra cui Agrigento, la differenza tuttora permane, anche se il margine di differenza si è accorciato dopo il 2009. 

Tutti i governi regionali, centrosinistra compreso, hanno sposato la tesi secondo cui i privati hanno le potenzialità adeguate per intervenire nella gestione delle emergenze. Uno schema che non ha lesinato risorse pubbliche e che ha portato a una frammentazione del servizio tra reti diverse a cui il parlamento regionale siciliano aveva provato a dare una risposta, lasciata sospesa in aria, in attesa della legge rattoppo successiva all’impugnativa del governo nazionale. Ed è proprio sulla dicotomia pubblico-privato, gestione dei Comuni e creazione di economie di scala, che il filo si è definitivamente perso. Vania Contrafatto, assessora regionale all’Acqua ha provato a portare a sintesi le anime, spesso contrapposte tra pubblico e privato, e lo stesso Rosario Crocetta abbozza timide aperture nei confronti di un modello societario dove non siano solo i Comuni a dettare legge. 

Ma al momento il risultato non cambia: il consumatore siciliano neanche sa il più delle volte come si arriva al totale, carissimo, che paga in bolletta. Per quanto riguarda la manutenzione delle reti, nei casi in cui i Comuni non gestiscono in economia e quando non si tratta di manutenzione straordinaria, i costi e gli interventi sono previsti in convenzione, il resto degli investimenti va a gravare sulla tariffa. Il sistema in sintesi si deve finanziare da sé, come gas ed energia elettrica

Oggi Siciliacque è i mano ai privati. Il 75 per cento appartiene ad Acqua spa e Veolia, La Regione partecipa con il 25 per cento. Due sono le dighe, tredici gli acquedotti e cinque gliimpianti di potabilizzazione. Per riscrivere il finale del film occorre a questo punto un’autorevolezza complessiva che la politica siciliana al momento non riesce ad avere, anche in sede di interlocuzione con il governo nazionale.


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