«Se non si fa qualcosa, converrà trasformare gli agrumeti in impianti di acquacoltura». Parla Fabrizio Antonioli, geologo dell'Agenzia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Nei suoi studi sull'innalzamento delle acque spunta il pericolo anche per Catania
Entro il 2100 la Piana sarà sommersa dal mare «I disastri sono prevedibili, è necessario agire»
La piana di Catania sommersa dall’acqua. Uno scenario che presto potrebbe uscire dall’alveo dell’immaginazione per diventare realtà. Tra ottant’anni (anno più, anno meno), alle attuali condizioni, il livello del mare si alzerà di almeno un metro. Trascinando con sé ampie porzioni d’Italia (almeno 33), tra le quali parte della provincia di Catania. È lo scenario studiato da Fabrizio Antonioli, geologo dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile. Antonioli da anni si occupa delle variazioni relative al livello dei mari, tema di stringente attualità. Ancora di più in questi giorni, mentre le foto di piazza San Marco sommersa, a Venezia, fanno il giro del mondo. Ma il capoluogo veneto non è l’unica area del Paese a rischio. «La zona vicina alla foce del fiume Simeto è una delle altre», spiega l’esperto intervistato da MeridioNews.
«Per comprendere dove si concentrano i pericoli, basta guardare i luoghi che già adesso si trovano a filo con il livello del mare – continua Antonioli, raggiunto al telefono da questa testata – Ci concentriamo su quelle a non più di cinquanta centimetri più in alto. Vaste aree della piana del Simeto si trovano un metro sotto il livello del mare e si allagheranno». A condividere il metodo di ricerca di Antonioli c’è, tra gli altri, anche il Consiglio nazionale delle ricerche. «Siamo un pool di persone – aggiunge – e da anni affrontiamo questo problema».
Argomento legato a doppio filo con quello dei cambiamenti climatici. Il surriscaldamento globale e il conseguente scioglimento delle riserve di ghiaccio del pianeta portano il livello del mare ad alzarsi. Variazioni apparentemente microscopiche nel breve periodo, ma rilevanti sul medio e lungo termine. Alle quali va aggiunto anche l’abbassamento di certe porzioni di territorio. «L’Italia è un Paese geologicamente vivo»: fatto, quest’ultimo, che nulla ha però a che vedere con i cambiamenti climatici e riguarda, tra gli altri fattori, il movimento al quale è sempre sottoposta la crosta terrestre. Per dirla in termini più semplici: mare più alto e terra che sprofonda fanno, insieme, un pericoloso mix per le zone costiere italiane.
E se per il combattere il cambiamento climatico un’amministrazione locale non basta, per evitarne i problemi, invece, qualcosa può fare. «I gestori della cosa pubblica devono, intanto, recepire i risultati delle nostre ricerche – afferma – Chi amministra le aree a rischio deve pensare adesso a migliorare i sistemi delle dighe, a prevedere delle pompe idrovore o, laddove tutto questo risultasse impossibile, ad agire prevedendo già le variazioni morfologiche a cui i loro territori vanno incontro». Un esempio è quello delle reti ferroviarie sul mare, che presto potrebbero essere rese impossibili da utilizzare in sicurezza per via dell’avanzamento del fronte marino.
Un altro esempio è quello della zona del Simeto, area d’elezione per la coltivazione degli agrumi siciliani. «Se non si fa qualcosa, forse converrà convertire gli agrumeti in impianti di acquacoltura». Una provocazione che, però, serve a rimarcare la preoccupazione che, pur conoscendo le conseguenze dell’inattività, nulla si muova. «In realtà, l’innalzamento di un metro del livello del mare non è neanche la previsione peggiore. A Venezia ci sono una serie di concause che hanno portato l’acqua ad arrivare così in alto: vento di scirocco, bassa pressione e alta marea. A Rapallo le condizioni meteorologiche hanno portato alla distruzione di un intero porto, causando oltre un miliardo di euro di danni. I disastri sono prevedibili, bisogna pensare a come affrontarli. E questo devono farlo gli amministratori». Vero è che «spesso un sindaco ha così tanti problemi da fronteggiare e così pochi soldi per farlo da essere oberato di pensieri», però «se nessuno pensa a quello che succederà tra settanta, ottant’anni allora avremo rinunciato a intervenire sul futuro».