Start up, 65 catanesi under 35 a Milano «A Catania manca la cultura d’impresa»

Milano capitale delle start up. Con una buona rappresentanza di giovani catanesi che, secondi tra i non lombardi – dopo i napoletani –, hanno contribuito alla crescita dell’imprenditoria nella città del Nord. E’ il dato che emerge dalle statistiche diffuse dalla Camera di commercio milanese secondo cui, in città e provincia, negli ultimi tre anni, diecimila delle 27mila nuove imprese avviate hanno a capo under 35. Tra questi, il 20 per cento viene da altre regioni: prima tra tutte la Sicilia. «E’ la prova di come un ecosistema possa essere attrattivo – commenta Antonio Perdichizzi, presidente dei giovani di Confindustria Catania – Certi mestieri li puoi fare solo a Milano». Come quelli ad alto contenuto tecnologico, che abbiano a che fare con moda e design o che prevedano la necessità di un rapporto con i media. «Tutti elementi che altrove non hai», continua Perdichizzi. Eppure i catanesi rimasti in città stanno imparando a difendersi. «Troppi sono ancora legati a una idea di imprenditorialità tradizionale, che non trova spazio nel mercato», spiega Patrizia Mauro, responsabile promozione e internazionalizzazione della Camera di Commercio etnea. Negozi e pub in testa. «Eppure, se guardiamo al tasso di apertura di partite Iva nell’ultimo anno, a Catania si nota una certa vivacità – aggiunge Perdichizzi – E la scelta va sempre più verso i settori giusti». Grazie anche all’orientamento fornito dalla stessa associazione dei giovani industriali che, da pochi mesi, ha inaugurato nel capoluogo etneo uno sportello informativo per aspiranti startupper.

Come risulta dai dati milanesi, negli ultimi tre anni sono stati 223 i siciliani con meno di 35 anni che hanno deciso di aprire una propria azienda nella città del Nord. Tra questi, 65 catanesi: lo 0,7 per cento del totale. Lo stesso numero di colleghi di Reggio Calabria, secondi solo ai napoletani – l’1,2 per cento – tra i non lombardi. Sono i servizi il campo più scelto dagli aspiranti imprenditori. Seguito dal commercio e, a grande distanza, dal settore manifatturiero. Un trend che sta lentamente prendendo piede anche a Catania, ma che si scontra con una scarsa cultura d’impresa e pochi incentivi. «L’ultimo bando pubblico per nuove imprese è stato nel 2010 – spiega Mauro – Ma prevedeva la presentazione di un complesso business plan ed escludeva diversi settori e servizi». Tra cui proprio il commercio, che sembra ancora resistere tra i desideri dei giovani nel capoluogo etneo. «Chi viene da noi a chiedere informazioni – continua – pensa ad aprire il pub. Attività tradizionali che non vengono più incentivate dall’Unione Europea». Oggi, secondo la responsabile della Camera di Commercio etnea, sarebbe meglio puntare sulle ludoteche, gli asili nido e i servizi di assistenza agli anziani. E, ovviamente, alle nuove tecnologie.

Settori a cui, secondo Perdichizzi, vanno aggiunti il turismo, l’ambiente e anche l’agroalimentare. Ma sempre in chiave innovativa. «Non ha senso costruire nuovi hotel, piuttosto servono servizi – spiega – Così come non è più un’idea innovativa coltivare le arance per il mercato ma, ad esempio, estrarne l’essenza da poter vendere alle industrie, da quella dolciaria a quella cosmetica». Ragionamenti su cui i catanesi in patria dovranno concentrarsi sempre più. «L’alto tasso di apertura di nuove partite Iva che inseriscono Catania tra le prime dieci città d’Italia può significare molte cose – continua – Può trattarsi di professionisti, di un metodo diverso di svolgere un’attività para-subordinata o di persone che, non trovando lavoro, provano a fare da sole. In ogni caso, fare impresa è difficile e rischioso». E, spesso, bisogna vedersela con «le quattro terribili problematiche: credito, burocrazia, infrastrutture, legalità». A rivolgersi allo sportello informativo dei giovani industriali etnei, nei primi due mesi di vita, sono stati in venti. Tra questi, tre aspiranti fondatori di software house, altrettanti futuri gestori di asili nido, ma anche idee per un call center, un chiosco, un ristorante e un lounge bar. «Settori, questi ultimi, dove c’è poca innovazione e servono tanti soldi», spiega Perdichizzi.

Al contrario di quella vasta prateria che è ancora oggi Internet. Su cui i catanesi stanno tentando di recuperare il ritardo. «Nel network di StartupCt che abbiamo da poco creato – continua – due realtà riguardano il settore ambiente-green e sette il web». Un’interesse che viene anche dalle grandi aziende, con la creazione di eventi specifici. L’ultimo, il Working capital organizzato a Catania da Telecom per scovare nuove idee di start up da finanziare. Ad aggiudicarselo, quattro embrioni di aziende: la piattaforma per alberghi di lusso Butlr, due applicazioni per eventi, ClapTrip ed EvaMe, e Reclog, un’applicazione social per condividere foto e audio insieme come una cartolina. «Resta il fatto, comunque, che a un certo stadio della propria attività e in certi settori – conclude Perdichizzi – aprire una sede a Milano diventa indispensabile. E poi un’altra a Londra magari».

 

[Foto di -MandarX-]


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Secondo i dati diffusi dalla Camera di Commercio milanese, vengono dalla Sicilia la maggior parte dei giovani futuri imprenditori non lombardi. In patria «troppo legati a un'idea di impresa tradizionale», secondo l'esperienza della Camera di Commercio etnea. In città, molti pub e pochi asili nido insomma. «Vero, ma le cose stanno cambiando e il rilancio passa soprattutto dalla tecnologia», spiega Antonio Perdichizzi, presidente dei giovani di Confindustria Catania

Secondo i dati diffusi dalla Camera di Commercio milanese, vengono dalla Sicilia la maggior parte dei giovani futuri imprenditori non lombardi. In patria «troppo legati a un'idea di impresa tradizionale», secondo l'esperienza della Camera di Commercio etnea. In città, molti pub e pochi asili nido insomma. «Vero, ma le cose stanno cambiando e il rilancio passa soprattutto dalla tecnologia», spiega Antonio Perdichizzi, presidente dei giovani di Confindustria Catania

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