Trecentosettantasei pagine a fumetti, il più lungo libro disegnato mai pubblicato in Italia. Che racconta quattordici anni di storia d'Italia, partendo dal rapimento di Aldo Moro e arrivando alla strage di via d'Amelio. Dalla mafia più cattiva alla resistenza più nobile. Sette anni di ricerche sul territorio per l'autore, e un grande lavoro iconografico per i disegnatori. Che hanno immaginato Provenzano come un cinghiale e Dalla Chiesa come un bulldog. Guarda il booktrailer
Il pool antimafia in una graphic novel Un fatto umano, con personaggi animali
Un torinese e due genovesi per raccontare la mafia in Sicilia. Con un libro a fumetti. Trecentosettantasei tavole acquerellate in cui Giovanni Falcone è un gatto, Paolo Borsellino un terrier, Totò Riina e Bernardo Provenzano due cinghiali. Un fatto umano, storia del pool antimafia è «la graphic novel italiana più lunga finora pubblicata». A farle da cornice, 70 pagine di bibliografia fitta fitta, che nel volume cartaceo non c’entravano e allora sono rimaste solo online.
«L’idea nasce sette anni fa, solo per completare il lavoro di ricerca sui testi, però, ce ne sono voluti due». Manfredi Giffone, trentaquattro anni, è lo sceneggiatore piemontese di una storia che parte dal rapimento di Aldo Moro, il 16 marzo del 1978, e finisce con la strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992. Quattordici anni nell’Italia delle mafie e dell’antimafia, disegnando il maxiprocesso e la P2, il commissario Beppe Montana e il killer Pino Greco Scarpuzzedda. «Assieme a Fabrizio Longo e Alessandro Parodi, i due disegnatori, cercavamo da tempo una storia italiana di ampio respiro», racconta Manfredi. Quella del pool antimafia dei giudici Falcone e Borsellino era perfetta, un’illuminazione arrivata dopo lunghe riflessioni. «Il fatto che non fossi siciliano è stata una limitazione che ho tentato di far fruttare ricorda l’autore Non aver vissuto nell’ambiente mi ha permesso di mantenere un punto di vista un po’ distaccato, che mi è stato utile». La vera scommessa, però, non era riuscire a raccontare una storia coi fumetti, ma farlo in maniera approfondita. «Mentre noi lavoravamo sono usciti diversi film e serie televisive che raccontavano la mafia, ma quel mezzo non permetteva di scendere in profondità». Il fumetto sì. Anche perché permetteva di mettere in campo tutti i personaggi.
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«Ad avere un ruolo nel racconto della mafia sono in tantissimi». Da questo, la scelta di rappresentare i protagonisti con fattezze animali. «Se avessimo dovuto rappresentarli tutti con sembianze umane, avremmo rischiato di confondere i lettori». Bisognava renderli riconoscibili immediatamente e sintetizzarne in alcuni tratti fisici la psicologia. «Gli animali sono un classico dei fumetti, e usarli nelle nostre tavole ci facilitava molto il lavoro». Carlo Alberto Dalla Chiesa, per esempio, è un bulldog, «uno che quando lo vedi la prima volta non te lo dimentichi e capisci che tipo era». Viaggi in Sicilia, interviste, appuntamenti con Giuseppe Ayala, pubblico ministero del maxiprocesso, e Maria Falcone, sorella di Giovanni, «chiunque ha voglia di raccontare questa storia». Testimonianze dirette, di chi ha visto. «Quando sono andato a scattare delle foto nel luogo in cui è stato ucciso Beppe Montana, a Porticello, ho incontrato la persona che gestisce adesso la rimessa delle barche in cui l’hanno ammazzato». Quell’uomo il 28 luglio 1985 c’era, «e mi ha raccontato cos’è successo, dandomi anche un riscontro emotivo».
«Non volevamo distinguere i buoni e i cattivi, non volevamo dire cos’è bianco e cos’è nero», spiega Manfredi Giffone. «A prescindere dagli abbinamenti tra personaggi e animali, non ci interessava scrivere una favoletta dice Non è facile capire dove mettere alcune figure, al di là della retorica che parla di eroi e malvagi». Lo diceva anche Falcone, «è un errore considerare un uomo d’onore come altro rispetto a noi, alcuni li descriveva come simpatici, con un animo nobile e meno nobile». Come a dire che sono persone normali, semplicemente fanno altro. «È il peso del fattore ambientale non si può sottovalutare afferma Manfredi Ma sovrapporre completamente il piano legale con quello morale è rischioso». Lui, dall’alto geografico della sua vita a Torino, dopo questo lavoro ha capito: «Prima per me era una specie di entità della quale non si capiscono bene le reali possibilità». Adesso no, «è più chiaro e, soprattutto, ho una chiave di lettura su quello che è successo in Italia negli ultimi trent’anni». D’altro canto, la Sicilia «sembra essere sempre il barometro della vita nazionale, in anticipo».