Il tribunale di Catania ha accolto giovedì la richiesta della Dda sul patrimonio dell'imprenditore, editore e direttore del quotidiano catanese La Sicilia. Solo l'ultima tegola giudiziaria di una più vasta indagine per concorso esterno alla mafia
Decreto sequestro e confisca per Mario Ciancio Da Antimafia sigilli a beni e società per 150 milioni
Un decreto di confisca di primo grado dal valore di 150 milioni di euro. È quello emesso giovedì 20 settembre dal tribunale di Catania nei confronti di Mario Ciancio Sanfilippo, imprenditore, editore e direttore del quotidiano catanese La Sicilia. Il provvedimento, richiesto dalla Direzione distrettuale antimafia, riguarda 31 società e le quote di partecipazione in altre sette ditte, ma anche conti correnti, polizze assicurative e beni immobili. Secondo quanto riportato dalle agenzie giornalistiche, la confisca riguarda l’intero gruppo editoriale che fa capo a Mario Ciancio Sanfilippo e riguarda La Sicilia, la maggioranza delle quote della Gazzetta del mezzogiorno di Bari, le emittenti Antenna Sicilia e Telecolor. Per stasera, intanto, è stata convocata un’assemblea nella redazione de La Sicilia, in viale Odorico da Pordenone.
Il provvedimento di oggi rientra in una corposa inchiesta che da anni coinvolge l’editore etneo, attualmente sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Un percorso parallelo è quello che si svolge davanti il tribunale misure di prevenzione. Nel giugno 2015 all’editore vengono sequestrati 17 milioni di euro. Una piccola parte del tesoretto da 52 milioni di euro scoperto in Svizzera a nome di Ciancio. A dare l’input decisivo la scoperte che quei titoli stavano per essere convertiti in denaro da trasferire in Italia. In base a quanto appreso da MeridioNews, uno degli amministratori giudiziari a cui è stato affidato il patrimonio di Ciancio è Luciano Modica, lo stesso che da anni si occupa dell’azienda Geotrans, confiscata alla famiglia mafiosa Ercolano.
L’editore de La Sicilia, intanto, replica: «Nell’ambito del procedimento di prevenzione a mio carico ritenevo di avere dimostrato, attraverso i miei tecnici e i miei avvocati, che non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e che il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me – si legge – Ritengo che le motivazioni addotte dal tribunale per disporre la confisca dei miei beni siano facilmente superabili da argomenti importanti di segno diametralmente opposto, di cui il collegio non ha tenuto conto». E aggiunge: «I miei avvocati sono già al lavoro per predisporre l’impugnazione in corte di Appello. Sono certo che questa vicenda per me tristissima si concluderà con la dovuta affermazione della mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati», accennando anche alla «pazienza» da lui avuta.