Quasi due mesi, dalla strage di Capaci a quella di via d'Amelio, raccolti in un volume. Un insieme ordinato di diversi frammenti di verità e storia: dalla sparizione dell'agenda rossa alla presunta trattativa tra Stato e mafia. Presentato a Catania, «in un momento in cui stanno cambiando anche il significato delle parole, chiamando eroismo l'omertà»
Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino «Mille misteri spiegati in un libro»
Una storia umana, ma anche un resoconto di tutte le occultazioni perpetrate dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio. E’ Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino, scritto da Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo, direttore e vicedirettore del periodico Antimafia Duemila, e presentato ieri a Catania. «In un momento in cui – spiega Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso nel 1992 – stanno cambiano anche il significato delle parole, chiamando eroismo l’omertà». Presenti all’incontro anche Graziella Proto dellassociazione Rita Atria, il giornalista Riccardo Orioles e Nunzio Famoso preside della facoltà di Lingue di Catania. A moderare, Salvatore Resca di CittàInsieme.
Più di un’inchiesta giornalistica, il libro è il racconto intenso degli ultimi 57 giorni di vita del giudice palermitano, ma anche «una preziosa ed aggiornata guida per il lettore fra le più importanti informazioni ed acquisizioni sulla verità di quella stagione stragista» si legge nella prefazione di Antonio Ingroia. «Mille misteri raccontanti con linguaggi freschi e semplici – precisa Graziella Proto -. Un libro partigiano che invita ad andare avanti, scritto da persone che giocano a carte scoperte». «Un volume intessuto di fatti, sentimenti e momenti di vita professionale e familiare – esordisce Salvatore Resca -, che si inserisce in un momento particolare della storia della Sicilia».
Il riferimento è alle diverse vicende di queste ultime settimane. Come la decisione della Corte d’Appello di Catania – dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – di scarcerare sei degli otto ergastolani condannati per la strage di via d’Amelio. Ma anche i ritardi nella nomina del procuratore capo etneo Giovanni Salvi, che hanno destato qualche perplessità. Quella del dirigente – secondo Nunzio Famoso – dovrebbe essere una «presenza autorevole che faccia chiarezza» e l’estraneità al territorio e ai suoi meccanismi mafiosi potrebbero essere d’aiuto. Vicende che si intrecciano con i nodi irrisolti del passato, descritti nel libro: dalla sparizione dell’agenda rossa di Borsellino alla presunta trattativa tra Stato e mafia.
Mafia che «vive in sintonia con lo Stato – dice Famoso, citando il libro -. Ma Falcone e Borsellino sono esempi di personaggi ligi al dovere, portatori di una filosofia diversa, convinti che tutto lo Stato debba combattere la criminalità organizzata». I mafiosi però «stanno in Parlamento, a volte sono ministri, banchieri – gli fa eco Giorgio Bongiovanni citando Pippo Fava -. I mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione». Nel 1983 come oggi, ricordano gli autori. «La strage di Capaci seguì quella di via d’Amelio, per aprire poi la strada alla seconda repubblica dove tutti quelli che sono al governo hanno determinato la morte di Falcone e Borsellino – continua Bongiovanni -. Ci sono uomini indegni che occupano lo Stato». Anche Lorenzo Baldo ricorda Fava, in particolare il suo ultimo editoriale, su «gli iniqui che stanno al potere» e che «credono di essere ormai invulnerabili»: per questo nasce il testo, spiega, un insieme di pezzi di un mosaico che va formandosi. Riccardo Orioles ricorda invece come trattative Stato-mafia non siano poi così recenti: Giolitti, Mussolini e Andreotti ne erano già protagonisti passati. Il giornalista invita perciò a far parte del partito dell’antimafia: «Un insieme di persone che sono militanti del comitato di liberazione nazionale con un’idea ben precisa: mandare in galera i mafiosi che sono al governo».
Ma durante la presentazione c’è spazio anche per i ricordi. Salvatore Borsellino rievoca in modo accorato la morte del fratello e le parole della madre che lo esortava a comunicare il suo sogno di libertà. «La gente non era indifferente – ricorda Borsellino -, vivevo in un’esaltazione tale che mi faceva pensare che Paolo fosse morto affinché nel nostro Paese si potesse sentire il profumo della libertà». «Dopo il maxi processo le premesse erano buone – continua – ma non era il profumo di libertà ad essere fresco, piuttosto il puzzo del compromesso che continuava di nuovo a levarsi sempre più forte». Salvatore Borsellino ha abbracciato totalmente la causa del fratello, nonostante la perdita di speranza e di fiducia nelle istituzioni. «D’altronde – conclude – cosa vi potete aspettare da una Repubblica che è nata sul sangue delle stragi?».