Tra giugno e luglio 2014 i clan paternesi sparavano. E uccidevano, o tentavano di farlo. È la tesi alla base dell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato in manette sei persone, tutte ritenute affiliate alla cosca Morabito-Rapisarda, storicamente legata al clan Laudani. Fondamentali le dichiarazioni di due pentiti. Guarda le foto
Paternò, svolta nell’inchiesta sull’omicidio Leanza Arrestati pure presunti attentatori di Giamblanco
Quando è morto Turi paredda, cioè Salvatore Leanza, era il 27 giugno 2014 ed era chiaro da subito che si era trattato di un agguato di mafia. E lo stesso era accaduto poco più di un mese dopo, il 30 luglio, in occasione del tentato omicidio di Antonino Giamblanco, detto ‘u sciallarese. Adesso i carabinieri di Catania e Paternò hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sei persone, tutte ritenute appartenenti al clan Rapisarda, il cosiddetto gruppo paternese della famiglia mafiosa dei Laudani. Si tratta di Alessandro Giuseppe Farina (33 anni), Antonino Barbagallo (42 anni), Antonio Magro (43 anni), Vincenzo Patti (39 anni), Francesco Santino Peci (41 anni) e Sebastiano Scalia (44 anni). Tutti e sei sono accusati dell’omicidio Leanza, mentre solo a Farina e Scalia è contestato il tentato omicidio di Giamblanco. Tutti gli accusati si trovavano già agli arresti, tranne Antonino Barbagallo, rintracciato venerdì a casa sua, a Paternò. Nel corso della perquisizione all’interno della sua abitazione, sono stati rinvenuti una pistola Bernardelli calibro 6,35 compresa di caricatore (risultata rubata), sette cartucce dello stesso calibro, della cocaina e un bilancino di precisione.
Gli arresti partono dalle dichiarazioni dei pentiti Francesco Musumarra e Orazio Farina, già usate non solo nell’ambito del processo a carico del boss Turi Rapisarda per l’omicidio Leanza, ma anche dell’inchiesta En plein, datata aprile 2015, che aveva fatto scattare le manette attorno ai polsi di 16 persone, tra i quali anche i sei raggiunti in questi giorni dal nuovo procedimento giudiziario. Quel blitz, poco più di un anno dopo, a seguito del processo con rito abbreviato, aveva portato a condanne per oltre un secolo di carcere. Al centro dell’attenzione degli inquirenti c’era la guerra di mafia tra le due cosche rivali: il clan Morabito-Rapisarda (facente capo a Vincenzo Morabito e a Turi Rapisarda) e il gruppo del clan Assinnata, legato alla famiglia Santapaola di Catania, capeggiato dal boss ucciso Salvatore Leanza.
Il primo a saltare il fosso e a parlare coi magistrati era stato Musumarra. Seguito da Orazio Farina, fratello di Alessandro Giuseppe. È stato il suo pentimento a permettere di riscontrare le dichiarazioni dell’altro collaboratore di giustizia e a dare una svolta alle indagini che si è rivelata decisiva. Tra i profili degli arrestati è interessante anche quello di Antonio Magro, ritenuto il mandante dell’omicidio del 43enne Maurizio Maccarrone. Quest’ultimo è stato ucciso il 14 novembre 2014 in via Cassarà, ad Adrano, poco prima delle otto del mattino. In quei giorni, qualcuno aveva pensato a un delitto necessario a regolare conti interni a Cosa nostra. In realtà, la storia poi era un’altra: Maccarrone avrebbe avuto una relazione con la stessa donna che, per qualche mese, era stata accanto ad Antonio Magro.