Trattativa Stato mafia, parla Fiammetta Borsellino  «Rimangono i misteri, troppi pareri contrastanti»

L’eco della storica sentenza sulla trattativa tra Stato e mafia è ancora forte. E il pensiero va immediatamente ai giudici Falcone e Borsellino, e ai loro cari che per tanti anni hanno seguito con attenzione le fasi di un processo lungo cinque anni. Tra coloro che hanno sempre espresso un parere forte e netto c’è Fiammetta Borsellino, la più piccola dei figli del magistrato ucciso il 19 luglio 1992.

«Con questa sentenza è stata data una cornice giuridica ad un comportamento riprovevole – dice Fiammetta Borsellino – È una sentenza di primo grado che ha mille punti deboli in termini di giurisprudenza. Noi come famiglia andiamo molto oltre la soddisfazione o meno per questa sentenza perché ne esce un’immagine dello Stato non bella, perché la trattativa c’è stata e questo viene sancito con questa sentenza, ma purtroppo i misteri rimangono, ci sono pareri eccessivamente contrastanti».

La trattativa tra pezzi di Stato deviati, boss mafiosi, alti ufficiali dei carabinieri e Marcello Dell’Utri – uno dei fondatori del partito politico Forza Italia – c’è stata. A sancirlo è stata una sentenza di primo grado della corte di assise di Palermo del 20 aprile scorso. Sono stati tutti riconosciuti colpevoli del reato disciplinato dall’articolo 338 del codice di penale: quello di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Hanno cioè intimidito il governo con la promessa di altre bombe e altre stragi, dopo l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino e le esplosioni di Firenze e Milano, se non fosse cessata l’offensiva antimafia dell’esecutivo.

Assolto dall’accusa di falsa testimonianza perché il fatto non sussiste l’ex ministro della Dc Nicola Mancino. Massimo Ciancimino, invece, è stato condannato a otto anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni de Gennaro. Il figlio di don Vito, uno dei testimoni fondamentali del processo, è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici hanno inoltre condannato Bagarella, Cinà, Dell’Utri, Mori, Subranni e De Donno al pagamento in solido tra loro di dieci milioni di euro alla presidenza del Consiglio dei ministri che si era costituita parte civile. Una sentenza storica che mette in luce una parte molto critica della storia italiana e che permetterà di riscrivere la storia della seconda repubblica.

«Che lo Stato processi se stesso per individuare le mele marce non è un atto eccezionale in uno Stato normale che si basa sulla legalità è un atto dovuto – aggiunge la figlia del giudice Borsellino – Sulla Cassazione sarebbe ovvio aspettarsi dal sistema un funzionamento che abbia un inizio e una fine, ma con i tanti, troppi dubbi che permangono sulle alte cariche dello Stato speriamo solo che si possa fare definitivamente luce». 

Intanto a metà maggio si aspettano le motivazioni del processo Borsellino Quater e la famiglia Borsellino aspetta di capire chi ha portato Scarantino alla calunnia. Un altro punto fondamentale, un altro mistero ancora da decifrare a 26 anni dalle stragi che hanno insanguinato l’Italia.


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La più piccola dei figli del magistrato ucciso il 19 luglio 1992 commenta la storica sentenza del 20 aprile scorso. «È stata data una cornice giuridica a un comportamento riprovevole. Noi come famiglia andiamo molto oltre la soddisfazione o meno per questo giudizio, perchè ne esce un'immagine dello Stato non bella»

La più piccola dei figli del magistrato ucciso il 19 luglio 1992 commenta la storica sentenza del 20 aprile scorso. «È stata data una cornice giuridica a un comportamento riprovevole. Noi come famiglia andiamo molto oltre la soddisfazione o meno per questo giudizio, perchè ne esce un'immagine dello Stato non bella»

La più piccola dei figli del magistrato ucciso il 19 luglio 1992 commenta la storica sentenza del 20 aprile scorso. «È stata data una cornice giuridica a un comportamento riprovevole. Noi come famiglia andiamo molto oltre la soddisfazione o meno per questo giudizio, perchè ne esce un'immagine dello Stato non bella»

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