Novara di Sicilia, lì dove a Carnevale i formaggi rotolano Attesa nel borgo per il tradizionale torneo di maiorchino

Abbarbicato tra le suggestive cime dei monti Nebrodi e Peloritani, si erge Novara di Sicilia, uno dei borghi medievali più belli d’Italia. L’aurea di mistero e fascino che circonda il piccolo paesello dell’entroterra messinese si percepisce non appena ci si addentra nei vicoli del paese. Tra viuzze intricate, case accatastate, palazzi nobiliari, chiese e fontane impreziosite da decori e blasoni. A pochi chilometri dal centro, si possono ancora ammirare i ruderi del primo monastero cistercense in Sicilia risalente al XXII secolo. Ma a destare interesse e curiosità tra i visitatori dell’antico borgo sono le storie di Nino Garofalo, memoria storica e custode del patrimonio orale novarese.

«Ua, vi cuntu un cuntu (Ora, vi racconto una storia, ndr)». Inizia così ogni racconto. Con le sue parole fa rivivere luoghi, usi e costumi della tradizione, personaggi del passato, leggende. L’anziano scava nei ricordi e comincia a raccontare delle streghe di Spartivento. «L’origine dell’albero di noce riportato sullo stemma della città si perde nella notte dei tempi – racconta -. Leggenda vuole che davanti al luogo dove si trova il Duomo oggi esisteva un grande albero di noce, chiamato il Noce di Spartivento, sopra il quale si davano convegno le streghe del paese. Per salire sull’albero, ogni strega invocava, a mezzanotte, una formula magica Ventu, forti ventu portimi supra a nuggià (noce, ndr) di Spartiventu. Ma una notte si scatenò una tempesta di vento che disperse le streghe mentre il noce secolare, abbattuto con la costruzione del Duomo, venne inciso sul blasone di Novara».

Le prime testimonianze rurali risalgono al periodo sicano, quando anticamente era conosciuta con il nome di Noa. «La parola – come suggerisce lo studioso Carmine Rapisarda nel libro Novara di Sicilia tra leggende e tradizioni – è di origine sicana e il suo significato è maggese. Esso stava a rappresentare la copiosa quantità di frumento che, durante il periodo di colonizzazione greca, fu peculiare nella zona. Con i romani cambiò in Novalia Culta (campo di grano) e dagli arabi Nuhar o Nouah (giardino, orto, fiore). Nel medioevo si trasformò in Nucaria, poi in latino tardo medievale Noara fino alla definitiva trasformazione in Novara». Con l’arrivo dei Normanni venne fondato intorno al 1195 circa, nell’area adiacente il castello, il primo nucleo urbano che fu abitato da coloni lombardi al seguito di re Ruggero. La presenza di questi popoli provenienti dal Nord Italia ha lasciato in eredità ai novaresi l’idioma gallo-italico, parlato ancora oggi dalla gente del luogo. «Nel tredicesimo secolo – ricostruisce Rapisarda – fu acquistato dal signore Ruggero di Lauria e poco dopo passò in feudo alla famiglia dei Palizzi. In seguito il borgo fu dominato alla famiglia degli Alogna sino al 1392, anno in cui il re Martino prese il suo possesso. Quindi, appartenne ai nobili Gioeni fino al 1860».

In questo borgo da mille e una storia, torna puntuale ogni Carnevale l’atteso appuntamento con il torneo di Maiorchino che si svolgerà da oggi a martedì. Si tratta di una curiosa tradizione seicentesca che coinvolge l’intera popolazione che si sfida a lanci di maiorchino, il tipico formaggio locale. «La singolare competizione, giunta alla 30esima edizione, consiste – dice Angelo Di Pietro, promotore e presidente dell’associazione Circolo Sportivo Olimpia – nel tirare con un laccio (lazzata, in dialetto) e far rotolare una forma di maiorchino stagionato, dal peso variabile, lungo le vie del paese. Nei giorni di carnevale gareggiano solo i giocatori che nelle settimane precedenti si sono sfidati per prendere parte alla finale maschile e femminile. Vince la squadra che per prima taglia il traguardo». In piazza saranno allestiti stand con le tradizionali dimostrazioni pratiche, da parte dei produttori locali, della preparazione della ricotta e del maiorchino e di maccheroni caserecci conditi con sugo di maiale e cosparsi con maiorchino grattugiato.

Ma quali sono le fasi di lavorazione del protagonista indiscusso della manifestazione e presidio Slow Food? A spiegarcelo è uno dei tanti produttori locali. «Si tratta – chiarisce l’anziano pastore – di un formaggio a pasta dura che prende il nome dalla maiorca, il frumento locale di cui si cibano le greggi. L’originale maiorchino di Novara, diffidate dalle imitazioni, è composto dal 70 per cento di latte di pecora e dal 30 di capra. Il latte appena munto viene riscaldato nella codara (pentola di rame, nrd), dove si aggiunge il caglio e poi si lascia riposare per un’ora. Con la brocca (bastone in legno) si mescola il latte cagliato e si rimette sul fuoco. Il contenuto della pentola, che viene raccolto a forma di palla, si mette nella garbua (fascera in legno) per la spremitura. Dopo questa fase, la tuma ottenuta viene fatta asciugare per quattro giorni e poi si passa alla salatura e murgatura (strofinamento con olio d’oliva)». Il segreto per un buon maiorchino? «Un lungo periodo di stagionatura e pascoli aperti», conclude il pastore. 


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