Il Comune di Palermo non è in deficit strutturale ma dalla relazione dei funzionari della Ragioneria Generale dello Stato emerge un quadro di contestazioni e rilievi che in alcuni passaggi arriva a ipotizzare perfino il danno erariale. I dipendenti sembrano troppi e mal distribuiti, le partecipate inefficienti
Ispettori Mef, in 254 pagine l’analisi di 10 anni di governo Sotto accusa dirigenti, incarichi, dipendenti e partecipate
Il Comune di Palermo non è in deficit strutturale – con quattro parametri negativi dei dieci di deficitarietà previsti dalla legge – ma sono decine e decine le irregolarità riscontrate dagli ispettori della Ragioneria Generale dello Stato Maria Rita Longo, Cesare Carassai ed Ermanno Piteo durante la visita ispettiva a Palazzo delle Aquile tra il 12 dicembre 2016 e il 27 gennaio 2017. Rilievi messi nero su bianco in una relazione di 254 pagine che ha scosso l’amministrazione e ha fatto gridare allo scandalo il Movimento 5 Stelle, che ha chiesto le dimissioni immediate del sindaco Leoluca Orlando, anche se una parte dei mali di Palazzo delle Aquile sembrerebbe risalire all’epoca Cammarata. Eccole capitolo per capitolo.
PERSONALE. Fino al 2006 i dipendenti comunali erano 6.676 di cui 117 dirigenti, con una spesa di 136.986.231,51 euro. Una delibera del 2008 della giunta comunale, però, sulla base dell’adozione del programma triennale 2008/2010 del fabbisogno di personale, avvia la stabilizzazione di 2.900 Lsu precari (ex Asu) accrescendo il numero dei dipendenti a 9.556 unità, di cui 116 dirigenti, poi diventati 9.594 con altri precari stabilizzati. Ebbene, «nei suddetti provvedimenti – scrivono i funzionari del Ministero dell’Economia – non viene data dimostrazione delle motivazioni, diverse da argomentazioni del tutto generiche, ancorate ad un’analisi delle effettive esigenze di servizio».
«Nella relazione tecnica dei provvedimenti che hanno disposto l’elevato incremento di dotazione organica – insistono i tecnici -, il Comune avrebbe dovuto non solo provare il rispetto dei vincoli economico-finanziari e quantitativi prescritti dalla normativa vigente, ma anche esprimere la valutazione dei fabbisogni effettivi, dei processi di riorganizzazione in atto, dei processi di trasferimento alle Regioni, di esternalizzazione e di razionalizzazione in funzione delle finalità del contenimento della spesa pubblica e dell’efficienza, anche attraverso l’impiego di tecnologie informatiche». La spesa per il personale si è comunque ridotta dai 310 milioni del 2010 ai 254 milioni del 2016.
COIME. La storia del Coordinamento Interventi Manutenzione Edile inizia nel 1986, quando una legge speciale dello Stato veniva in aiuto di una città preda di una «eccezionale gravità economica ed occupazionale» anche a causa delle misure giudiziarie restrittive sulle aziende edili colluse con la mafia. Roma stanziava 25 miliardi di lire per garantire l’avvio di lavori socialmente utili, un contributo straordinario «qualificato come partecipazione dello Stato alla spesa per l’esecuzione di lavori in economia relativi ad interventi indifferibili ed urgenti di manutenzione e salvaguardia del territorio, nonché del patrimonio artistico e monumentale della città, che il Comune stesso avrebbe dovuto realizzare sotto la direzione dei propri uffici tecnici». Un sistema in vigore tutt’oggi, tanto che questi lavoratori, inquadrati come operai edili, de facto sono dipendenti pubblici e come tali, secondo gli ispettori, dovrebbero essere ormai trattati anche a livello contrattuale.
DIRIGENTI. Ritorna per l’ennesima volta la vicenda dei 14 dirigenti tecnici a contratto, sommersa da polemiche e sfociata anche in tribunale (potete leggerne qui, qui e qui). Scrivono Longo, Carassai e Piteo che è mancata «la previsione di una commissione e di criteri di valutazione comparativa per l’assegnazione di un punteggio ai curricula presentati dai candidati, al fine di delimitare la discrezionalità del sindaco nella scelta dei dirigenti e garantire una selezione oggettiva rispondente agli interessi pubblici perseguiti».
Affidare all’insindacabile giudizio del sindaco Orlando la scelta dei dirigenti «appare contrario ai principi sopra richiamati, in quanto il conferimento degli incarichi dirigenziali non ha carattere fiduciario di tipo personale ma richiede l’utilizzazione di procedure comparative ad evidenza pubblica, nel rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede applicabili alla stregua dei principi di imparzialità, trasparenza e par condicio». Sarebbero «irregolari» anche «i provvedimenti di proroga degli incarichi dirigenziali» anche, tra i diversi motivi, «per la mancata previsione della loro attuazione nella programmazione del fabbisogno del personale 2015-2017». Inoltre «in relazione alle suddette proroghe, il Comune non ha fornito i contratti di lavoro stipulati con i soggetti in questione; ciò in contrasto con il fondamentale principio della forma scritta richiesta ab substantiam per i contratti della pubblica amministrazione». Tutte «anomalie e criticità segnalate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e alla Procura Regionale della Corte dei Conti».
POLITICA E AMMINISTRAZIONE. Censurata anche la scelta di assegnare a Sergio Pollicita, capo area delle Relazioni Istituzionali, Sviluppo e Innovazione oltre che dirigente dell’Ufficio di Gabinetto del sindaco, anche il compito di coordinare la gestione del Settore Sviluppo Strategico, dell’Ufficio Relazioni Istituzionali di Area vasta Relazioni Internazionali e Reti di Città e il Settore Valorizzazione Risorse Patrimoniali: una nomina che violerebbe «il principio della separazione dei poteri tra politica e amministrazione».
PARTECIPATE. L’ultimo centinaio di pagine è dedicato alle partecipate, in merito alle quali è contestato un coagulo di presunte inefficienze e irregolarità che riguarderebbero gli aspetti più disparati, dai contratti servizio ai movimenti di personale. Gli ispettori contestano, giusto per fare qualche esempio: gli atti costitutivi di Amap e Reset; imprecisioni sui contratti di servizio di Amat, Amap e Amg; inadempienze nelle direttive in materia di personale in Rap, Palermo Ambiente e Amat; il mancato accantonamento del fondo per i risultati negativi nel bilancio di previsione 2016 per coprire le perdite dell’Amat (esercizio 2015); le somme trasferite alla Reset (esercizio 2014) come aumento di capitale e finanziate con un mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti che non risultano integralmente utilizzate per spese di investimento; l’affidamento del servizio di pulizia caditoie assegnato ad Amap ma svolto da Amia Essemme fino al 21 luglio 2013 e poi da Rap; le due transazioni con Amat (da 3,4 milioni, per la mancata erogazione del corrispettivo per l’emissione dei titoli di viaggio a favore delle categorie protette) e con Reset (da 1,9 milioni); la mancata stipula del contratto di servizio con la Sispi; la mancata dismissione delle quote Gesap (la cui privatizzazione è stata a lungo in ballo ma poi accantonata). Per tutte le irregolarità elencate nella relazione Longo, Carassai e Piteo fanno riferimento, a più riprese, a possibili danni erariali.